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“Una parte importante della violenza in Svizzera è importata”

Frank Urbaniok, psichiatra forense zurighese
Frank Urbaniok, psichiatra forense zurighese. Keystone-SDA

Una parte importante della violenza osservata in Svizzera è importata: lo sostiene Frank Urbaniok, psichiatra forense zurighese con oltre 30 anni di esperienza alle spalle.

Secondo lo psichiatra forense zurighese frank Urbaniok, va riconosciuto che alcuni gruppi di stranieri sono molto più criminali dei cittadini elvetici: questo ha che fare con le influenze culturali e dev’essere preso in considerazione nella politica di asilo, sostiene.

“Credo che il senso di insicurezza sia diventato più forte negli ultimi anni”, afferma il 62enne in un’intervista pubblicata domenica dalla NZZ am Sonntag. “Le persone si chiedono: posso andare da solo in stazione la sera? Sarò aggredito se esco nel fine settimana? Questo ha molto a che fare con i problemi dell’immigrazione”.

Non tutti

“Non intendo tutti i migranti”, precisa l’esperto che ha trattato numerosissimi casi come perito, terapeuta o supervisore, specialmente nell’ambito dei reati sessuali e contro l’integrità della persona. “Ma se mi chiedete se abbiamo un problema di criminalità straniera, devo rispondere: sì, decisamente. I cittadini di alcuni paesi sono molto più propensi a commettere reati rispetto agli svizzeri”.

“Le persone provenienti dai paesi dell’Europa orientale e dai Balcani hanno numeri di criminalità proporzionalmente maggiori. E le cifre per chi arriva da regioni come il Maghreb sono alle stelle”. Urbaniok dice di avere analizzato sistematicamente le statistiche sulla criminalità in Germania, Austria e Svizzera per un suo libro appena pubblicato. “Esse mostrano, ad esempio, che gli afghani vengono denunciati per reati gravi 5 volte più frequentemente rispetto agli svizzeri, i marocchini 8 volte e i tunisini 9 volte”.

“Il tasso di criminalità sproporzionatamente alto ha molto a che fare con le influenze culturali. Si tratta del modo in cui viene affrontata la violenza, dell’immagine della donna o del ruolo dello stato di diritto in questi paesi. Ho avuto a che fare con i criminali per 33 anni e ho visto da vicino migliaia di casi. Per questo so quanto possano essere forti e rilevanti queste impronte, a volte persistono per generazioni”.

“Un esempio classico è il delitto d’onore”, spiega l’ex numero uno (dal 1997 al 2018) del Servizio psichiatrico-psicologico del canton Zurigo. “In alcune culture prevalgono approcci familiari molto rigidi. Se la figlia ha il fidanzato sbagliato o la moglie si separa dal marito, può essere pericoloso per la vita. Gli uomini che erano seduti di fronte a me erano forse ben integrati e rispettavano le leggi elvetiche: ma poi dicevano che nelle questioni familiari si applicano leggi superiori. La conseguenza è che le donne avevano bisogno della protezione della polizia”.

Casi estremi

Anche gli uomini svizzeri però – ribattono i giornalisti del domenicale – uccidono le loro mogli. “Sì, ma alcuni gruppi di immigrati commettono omicidi basati esclusivamente su convinzioni culturali. Naturalmente si tratta di casi estremi. Ma il fenomeno è riscontrabile anche in altre forme di criminalità: le persone con un certo background migratorio, ad esempio, afferrano il coltello molto più spesso dei cittadini elvetici”.

Se si guardano le statistiche sulla criminalità, ci si rende conto che gli uomini sono molto più spesso criminali delle donne, in Algeria come in Svizzera, rammentano i cronisti della NZZaS: non si dovrebbe parlare quindi del ruolo degli uomini, piuttosto che degli stranieri? “Una cosa non esclude l’altra”, risponde l’intervistato. “Gli uomini hanno maggiori probabilità di essere violenti, è vero. Ma questo non significa che la nazionalità non giochi un ruolo”.

Stando al professionista non si può nemmeno spiegare le cifre con il fatto che ad esempio dal Nordafrica giungono molti giovani. “Ne ho tenuto conto. Se si confrontano i giovani uomini tra loro, c’è una chiara differenza tra determinate nazionalità. Quindi una parte significativa della violenza è importata”.

“Naturalmente non è il passaporto a determinare se qualcuno commette reati”, osserva il medico con doppio passaporto svizzero e tedesco. “Ma le influenze culturali di alcune nazioni d’origine svolgono un ruolo importante. Ci sono paesi non problematici, altri problematici e altri ancora altamente problematici. E non capisco perché questo non abbia un ruolo nella scelta di chi far entrare nella Confederazione”.

“Il tasso di criminalità, ad esempio, dovrebbe avere un ruolo nella valutazione delle richieste di asilo”, argomenta lo specialista. “Il mio suggerimento è quello di applicare contingenti: dovremmo accogliere meno persone provenienti da stati con alti tassi di criminalità. I paesi di accoglienza devono poter decidere da soli quali e quante persone accogliere, invece di essere scavalcati da un diritto individuale esigibile. In fondo, si tratta di trovare un equilibrio tra l’impegno umanitario e il dovere di prendersi cura dei propri cittadini”.

La normativa europea sull’asilo è mal calibrata

“Per me è chiaro che la normativa europea sull’asilo si basa su un sistema sbagliato”, prosegue lo psichiatra che afferma di essere completamente apartitico. “La creazione di un diritto assoluto all’asilo è errata. In teoria, centinaia di milioni di persone avrebbero diritto a chiedere asilo in Svizzera, ma non potremmo mai accoglierle tutte. Inoltre so di molti casi pratici di persone che si inventano semplicemente delle storie per poter rimanere qui: a volte sono molto difficili da verificare”.

Certo vi sono i rimpatri di persone la cui domanda è stata respinta. “Malgrado ciò troppe persone problematiche rimangono qui. Le vedo nelle statistiche e le vedo ogni giorno nel mio lavoro da trent’anni. Questo è spiacevole. Ciò che è davvero sgradevole è però rendersi conto che gli stessi problemi possono esistere ancora una generazione dopo. Per questo non si può dire che la situazione sia sotto controllo. Al contrario: i problemi sono enormi”.

Secondo Urbaniok molti – criminologi e ricercatori sulla migrazione – temono che i cittadini non siano in grado di affrontare i fatti. “Ecco perché dicono: le cifre danno una falsa impressione, non c’è un problema di criminalità sproporzionata da parte degli stranieri”, sostiene. “Ma credo che sia propaganda inventare argomenti non supportati da studi per nascondere i problemi”, conclude.

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