L’equivoco linguistico è sempre dietro l’angolo
In inglese li chiamano “false friends” ovvero "finti amici", sono quelle parole ed espressioni che ti ingannano, perché sembrerebbero per suono ed analogia con l’italiano significare una certa cosa, e invece ne rappresentano un’altra, talvolta completamente diversa.
Intendiamoci, se ti serve di parlare “globish”, quindi farti capire ovunque tu sia, non sono importanti. Lo diventano se usi l’inglese per lavoro e se devi scriverlo. Ci ho messo vent’anni a capire che fra il tedesco che si parla a Berna e l’italiano che parlavo a Roma ci sono molti finti amici.
Quando capisci esattamente il contrario…
Di recente ho dato buca ad una persona, perché mi aveva scritto di “lasciare stare” l’appuntamento che avevamo concordato. In italiano significa appunto che non si farà, in tedesco “stehen lassen” vuol dire lo conserviamo. Ho dovuto imbracciare la tastiera del computer e attaccarmi a Google per capire dove fosse stato l’errore.
Tante espressioni sono legate ai costumi e non ti basta conoscere decentemente quella lingua straniera, c’è tanto di più da imparare e inevitabilmente nel processo commetterai degli errori, l’equivoco è sempre dietro l’angolo.
“Quando a Berna si dice “vogliamo lentamente andarcene?”. Non devi interpretarlo alla romana: magari ce ne andiamo tra un’ora o due. Qui significa subito”.
Grandi bisticci genera il modo in cui si utilizza la parola “grazie”, “Danke”. Ti chiedo: Vuoi un po’ di vino? A Roma mi dici “Grazie” e intendi: “Si, grazie”. A Berna, con “Danke” ti stanno invece rispondendo “No, grazie”. La differenza è sottile, eppure gigantesca. Confesso che ancora oggi, dopo tutti questi anni, ancora rimango con la caraffa sospesa mentre tento di raccapezzarmi.
La lentezza tipicamente bernese
La velocità e la lentezza, insomma il tempo, sono spesso nel cuore del pasticcio. Berna è considerata la capitale della lentezza. Perché il dialetto bernese è più dolce e strascicato rispetto ad altri, per esempio in confronto a quello che si parla a Zurigo. Sarà anche il nostro meraviglioso fiume urbano balneabile, che scorre talvolta svelto, quando si sciolgono le nevi, ma in genere è lento lentissimo ipnotico. I maligni dicono che noi bernesi siamo rimasti contadini, e un po’ mi tocca dare loro ragione quando osservo in estate impiegati con camicia, giacca e Birkenstock ai piedi. A Roma secondo me rischi il licenziamento, se ti presenti in ufficio con le cioce.
“Schnau” (schnell, veloce) e “langsam” (lento) in bernese hanno tantissime funzioni bizzarre per l’orecchio di un’italiana. Per esempio qui si dice “vogliamo lentamente andarcene?”. Non devi interpretarlo alla romana. Lì vorrebbe dire che magari te ne vai dopo un’ora, o forse due. Qui significa che prendi la borsa e in pochi minuti sei già sulla strada di casa! Oppure ti dicono “vieni velocemente?”. E tu ti precipiti, perché a Roma veloce significa appunto di corsa, al volo. Qui no, è solo un’interiezione come da noi sarebbe “comunque”. Nessuna fretta, anzi, “schnau” è segno del tempo che scorre lento, presente e continuo.
Padrino, ma quale padrino?
Mio marito ha un padrino adorabile, e già qui per capire cosa intendesse con “padrino” mi ci è voluto del tempo. Dalle mie parti, se la tua famiglia è religiosa avrai padrini e madrine che rivestono quel ruolo alla prima comunione, ti faranno regali alle feste comandate ma non è detto che li vedrai spesso. In Svizzera c’è qualcosa di laico eppure sacro in questa figura. Ogni bambino ne avrà almeno due, se non quattro. Sono più simili agli zii all’italiana: li frequenterai regolarmente, ti porteranno al cinema ed andrai a dormire da loro qualche week-end. Il padrino del maritozzo quindi è parte integrante della famiglia, insieme alla sua bellissima moglie e alle loro due geniali figlie.
È stato il padrino a segnalarmi quanto i bernesi siano ossessionati col chiedere scusa. “Exgüsee” si mette all’inizio di milioni di frasi. Al supermercato per chiedere dove sta il pan grattato ed al telefono in cerca di informazioni, ma anche così, random, parlando con amici e conoscenti. Una di quelle forme di cortesia che non significano molto, eppure distinguono l’autoctono dall’alieno.
L’arte del partire
Un comico tedesco di Germania, ma di origine turca, mi ha fatto di recente capire qual è il problema con “also”, che a Berna si usa ogni tre per due. Letteralmente significa “dunque” o “quindi” e io in quel modo l’ho sempre usata. Kaya Yanar ha individuato la vera funzione elvetica. Quando l’interlocutore inizia una frase con “also”, è il principio della fine. Prende congedo e quella parolina segnala l’inizio del movimento.
Nel modo bernese di abbondare con i prego e i grazie, “also” al mio orecchio è sempre suonato come una delle tante particelle inutili eppure fondamentali per parlare come gli oriundi. E invece no! Se ti dico “also”, comincio a prendere cortesemente distanza e allora devo essere sembrata una tipa appiccicosa e magari un po’ invadente ogni volta che dopo “also” ho rilanciato: “Vuoi un altro caffè?”.
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