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Chiasso, la “banda del buco” alla sbarra

Si è aperto lunedì il processo nei confronti di cinque membri della banda che lo scorso febbraio ha cercato di perforare il muro di una ditta di Chiasso che si occupa di trasporto valori.

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“Stavamo vendendo taralli a Taranto quando abbiamo conosciuto un anziano che ci ha detto che quando lavorava trasportava denaro in Svizzera”.  Inizia così il racconto di uno dei cinque imputati che sono finiti lunedì alla sbarra alla Corte delle assise criminali di Lugano per rispondere di un tentato furto ai danni della Loomis di Chiasso.

Era il Ferragosto del 2017 e le parole del pensionato sarebbero state la scintilla che ha dato il via a mesi di pianificazione. Assieme a un altro venditore, che al mercato di Taranto commerciava biancheria intima, il pugliese ha cercato altri complici, tutti residenti nel Foggiano. 

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Dopo essersi informata su internet riguardo alla Loomis, in almeno sette occasioni la banda ha compiuto delle perlustrazioni nella cittadina elvetica di confine prima di tentare, nel febbraio di quest’anno, di penetrare nell’edificio che ospita la ditta utilizzando con una carotatrice. 

Sono stati fermati all’alba del 26 febbraio, prima che potessero mettere a segno il colpo grazie a un’operazione congiunta della polizia ticinese e dei carabinieri italiani, resa possibile grazie alla segnalazione delle autorità pugliesi. 

Cinque persone sono state arrestate il giorno stesso a Chiasso, mentre altre cinque sono finite più tardi in manette in Italia. 

Un colpo da 60 milioni

Il potenziale bottino è stato stimato a 60 milioni di franchi.  “Era un’impresa di soldi. Nel primo sopralluogo abbiamo visto i camion. Abbiamo immaginato che fossero pieni. Con la fantasia si immaginava di sistemarci, noi, i figli, i nipoti”, ha detto l’imputato. 

Le accuse di cui devono rispondere i cinque in Svizzera vanno dal tentato furto aggravato al danneggiamento, dalla violazione di domicilio all’infrazione alla Legge federale sulle telecomunicazioni. Per quest’ultimo reato, nella lista poiché il gruppo avrebbe utilizzato degli “jammer” per bloccare le comunicazioni mobili attorno all’edificio durante il colpo, saranno però giudicati in separata sede in quanto si tratta di un reato da trattare nell’ambito del diritto penale amministrativo.

La procuratrice pubblica ticinese ha chiesto per il quintetto pene detentive comprese fra i due anni e mezzo e i tre anni e otto mesi di carcere. La sentenza è attesa al più tardi per mercoledì. 

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