“La Svizzera non deve in alcun caso sacrificare i suoi dazi agricoli”
Il sistema svizzero mira a un approvvigionamento interno del 50% delle calorie.
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In un momento in cui la politica mondiale è all'insegna dell'arbitrarietà, la Confederazione, sostiene Martin Keller, non deve sacrificare i suoi dazi agricoli.
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“Nelle sue discussioni con gli Stati Uniti la Svizzera non deve in nessun caso sacrificare i suoi dazi agricoli.” Lo sostiene Martin Keller, presidente uscente della direzione di Fenaco, il gigante del commercio controllato dai contadini che comprende marchi quali Volg, Landi, Ramseier e Agrola.
“In questo momento nella politica mondiale c’è molta arbitrarietà”, esordisce il dirigente della cooperativa in un’intervista pubblicata oggi dal Tages-Anzeiger (TA). “In nessun caso la Svizzera dovrebbe mettere in gioco le sue tariffe agricole. Si tratta di una ricetta di successo di lunga data che non deve essere sacrificata a cuor leggero: dopo tutto, nessuno sa quali saranno i futuri capricci di Donald Trump”.
“Il sistema svizzero, che mira a un approvvigionamento interno del 50% delle calorie, si è dimostrato valido, come dimostrano i recenti eventi di crisi”, argomenta l’esperto. “Rispetto ad altri paesi, nella Confederazione non ci sono stati forti aumenti dei prezzi dei prodotti alimentari o negozi vuoti, né durante la pandemia né al momento dell’attacco all’Ucraina. Una ragione importante è la politica agricola elvetica, con il suo sistema doganale finemente equilibrato e le collaborazioni affidabili con l’Europa e altri importanti partner commerciali”.
L’inflazione è comunque aumentata anche in Svizzera in modo significativo, sebbene la fase di rialzi sembra essere finita. “Per il momento sì, ma i mercati sono ancora molto volatili. Continueremo a sentirne le conseguenze ancora per un po’, perché il commercio al dettaglio elvetico ha iniziato a competere ferocemente per ottenere i prezzi più convenienti. I prodotti agricoli come carne, frutta, verdura e vino sono particolarmente colpiti: stiamo sentendo gli effetti della corsa alle promozioni da parte dei grandi distributori”.
“L’impennata dei costi dopo lo scoppio della guerra in Ucraina avrebbe dovuto costringerci ad alzare i prezzi, ma è accaduto il contrario a causa della scarsa fiducia dei consumatori: i rivenditori hanno intensificato il loro marketing orientato al prezzo”, si rammarica lo specialista. “Anche se posso capirlo, non è sostenibile dal punto di vista dell’intera catena del valore. Dopo tutto, anche i nostri produttori, cioè le aziende agricole, hanno dovuto sostenere costi aggiuntivi a causa delle elevate tariffe dell’elettricità, dei fertilizzanti e dei mangimi, di cui hanno dovuto tenere conto quando hanno fissato i prezzi. Come cooperativa, abbiamo voluto essere il più possibile accomodanti nei confronti degli agricoltori, il che ha comportato una significativa riduzione del nostro margine lordo nell’industria alimentare. Se si continua così, alla fine mancheranno i soldi per gli investimenti”.
Ma i prezzi bassi – osserva la giornalista di TA – rappresentano anche un fattore positivo. “Le famiglie svizzere spendono solo il 9% del loro reddito lordo per gli alimenti, una percentuale molto bassa rispetto al 13% nei paesi dell’UE”, replica l’intervistato. “In cambio, ricevono prodotti eccellenti con un’etichettatura d’origine chiara, che a mio avviso dovrebbe essere ancora più apprezzata”.
Settore viticolo sotto pressione
“Particolarmente sotto pressione è il ramo del vino: l’anno scorso il consumo è diminuito dell’8%, quello di prodotti svizzeri del segmento del 16% e quello di vino rosso elvetico addirittura del 20%. La viticoltura non è protetta da dazi doganali, ma è esposta al mercato mondiale. Questo mostra chiaramente quali scenari dovrebbero aspettarsi gli altri rami se i dazi agricoli venissero aboliti e se venissero importati prodotti molto economici dall’estero”.
Sulla base di un’esperienza di 13 anni a capo di Fenaco, i contadini se la passano davvero male? “Nel complesso, la situazione è sicuramente difficile”, risponde il professionista. “La coltivazione delle piante è influenzata dalle fluttuazioni dei rendimenti legate al clima, nonché dalla pressione di parassiti e malattie. Se tutto o parte del raccolto viene a mancare, anche i buoni prezzi e i costi di produzione più bassi non servono alle famiglie di agricoltori. L’allevamento, invece, sta andando bene. A mio avviso, gli agricoltori possono guardare al futuro con fiducia: la popolazione è molto favorevole alla produzione nazionale. Gli ultimi anni di crisi hanno reso evidente l’importanza di un adeguato livello di autosufficienza”.
Che cosa dire infine delle statistiche sulle superfici a coltivazioni bio, che nel 2024 hanno registrato un calo, il primo dal 2010? “Le vendite di prodotti biologici sono cresciute fortemente durante la pandemia: l’eccezione del coronavirus è ormai superata e i ricavi salgono solo lentamente”, osserva Keller, che a fine giugno lascerà l’incarico al suo successore Michael Feitknecht. “Si nota anche un rallentamento dei prodotti a valore aggiunto di prezzo più elevato. I prodotti convenzionali, invece, vendono di più”. Gli spesso criticati margini della grande distribuzione nel comparto bio non c’entrano, conclude.
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