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Stadler Rail riduce la produzione in Bielorussia

Peter Spuhler con Alexej Kriworutschko.
Peter Spuhler (in mezzo) con il direttore generale di Aeroexpress Alexej Kriworutschko al momento della consegna del primo treno a due piani (dei 24 previsti) nel novembre 2014. Keystone

Stadler Rail, costruttrice di treni svizzera, ha deciso di smantellare parzialmente le attività in Bielorussia a causa delle sanzioni internazionali. 

Si tratta di un dietrofront solo parziale. Il patron di Stadler Rail, Peter Spuhler, è stato spesso criticato per non aver preso le distanze dal regime di Alexander Lukashenko. Spuhler si era fatto fotografare sorridente mentre stringeva la mano del presidente bielorusso in occasione dell’apertura di una fabbrica a Minsk nel 2014.

L’imprenditore turgoviese si è sempre giustificato dicendo che si trattava di incontri di lavoro, senza mai tuttavia prendere pubblicamente le distanze dal regime. Le nuove sanzioni internazionali però ora hanno costretto l’azienda a reagire. “Da inizio giugno non potremo più esportare componenti elettroniche verso la Bielorussia”, ha spiegato Spuhler.

Di conseguenza, parte della produzione verrà spostata verso gli stabilimenti di Polonia o Svizzera. Stadler Rail produce da otto anni, nei pressi di Minsk, treni e tram per il mercato locale, ma anche per i Paesi vicini. Si tratta di oltre un migliaio gli impiegati, ma secondo l’azienda meno del 2% delle attuali commesse è prodotto in Bielorussia (dove comunque un ritiro totale non è previsto).

L’ex consigliere nazionale UDC è tornato a ribadire la sua linea: non spetta agli imprenditori dettare sanzioni. La via da seguire, secondo Spuhler, è piuttosto quella dell’integrazione economica di questi Paesi per avvicinarli alla democrazia. Ma intanto un passo indietro c’è stato. L’ex politico UDC si è detto felice di non aver attualmente commesse aperte in Russia o Ucraina.

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Le altre aziende elvetiche

Chi per allinearsi alle sanzioni internazionali, chi per difficoltà a reperire la materia prima, ecco una breve e veloce carrellata di alcune aziende svizzere che hanno deciso di interrompere le relazioni con la Russia.

ABB, operante nella robotica, nell’energia e nell’automazione, ha annunciato il 2 marzo la sospensione delle sue attività operative in Russia, così come in Ucraina e Bielorussia a causa di difficoltà nella catena di approvvigionamento. 

Clariant ha chiuso le sue operazioni in Russia, dicendo che continuarle sarebbe stato “incompatibile con i valori e gli obiettivi” dell’azienda chimica. Clariant ha un ufficio vendite e un laboratorio a Mosca e genera circa il 2% delle sue vendite annuali in Russia.

Georg Fischer, conglomerato industriale organizzato in tre distinte divisioni manifatturiere che si occupano rispettivamente di macchinari industriali, tubature e fusioni, ha parzialmente cessato le consegne in Russia: continua a effettuare consegne nella misura in cui si tratta di attrezzature per l’approvvigionamento idrico comunale. La quota di vendite in Russia è dello 0,5%.

Il gigante alimentare Nestlé ha sospeso la consegna di alcuni alimenti in Russia. Le eccezioni sono i beni di prima necessità come gli alimenti per bambini e i cereali. Il gruppo continuerà anche a rifornire i commercianti specializzati russi e le cliniche veterinarie di mangimi terapeutici per animali. Le consegne di beni di consumo quotidiano, come le capsule di caffè Nespresso, sono state sospese.

Geberit ha sospeso le sue attività in Ucraina a causa della guerra, ma le mantiene in Russia. Lo specialista di attrezzature sanitarie ritiene di fornire beni essenziali, il che giustifica il mantenimento delle vendite in loco. I due paesi in guerra rappresentano ciascuno l’1% delle sue entrate. L’azienda di San Gallo ha una fabbrica di ceramica vicino a Kiev con 550 dipendenti e 40 dipendenti in un ufficio vendite a Kiev.

Holcim ha sospeso gli investimenti di capitale in Russia. Il gruppo vuole continuare “a rifornire le comunità e la gente locale di materiali da costruzione essenziali”. Lo specialista dei materiali da costruzione gestisce tre cementifici e vi impiega circa 1’000 persone. Le vendite rappresentano meno dell’1% del fatturato totale del gruppo.


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