Gli autisti di Uber non sono da considerare lavoratori indipendenti bensì impiegati della società. Lo ha stabilito la corte d'appello del canton Vaud. Il Tribunale cantonale, in una sentenza pubblicata lo scorso 10 settembre, ha ravvisato l'esistenza di un rapporto di subordinazione professionale fra il personale che offre il servizio e l'azienda. Devono essere dunque versati i contributi sociali.
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A darne notizia è stato l’avvocato di un ex autista, che protestava per un licenziamento in tronco. La corte ha così confermato una decisione presa nell’aprile dello scorso anno dal Tribunale distrettuale del lavoro di Losanna. Per Uber resta aperta la via del ricorso al Tribunale federale, massima istanza giudiziaria elvetica.
La multinazionale statunitense -che offre servizi di trasporto attraverso un’applicazione per telefonini- considera i suoi autisti come operatori indipendenti che assumono un appalto, e si oppone in tutto il mondo a un cambiamento del loro statuto.
Lo scorso anno, il canton Ginevra aveva intimato a Uber di interrompere l’attività alle condizioni attuali. Un ricorso aveva però avuto effetto sospensivo.
Il modo di operare di Uber, che si dichiara un semplice intermediario tra fornitori di servizi e clienti, ha conseguenze sulla protezione sociale dei lavoratori. I sindacati si sono perciò sempre opposti a quella considerano una forma di precariato.
A livello politico, i pareri sono divisi: si va da chi accoglie con favore quella che considera una ventata di aria fresca nel settore dei trasporti a coloro che la ritengono una forma di impiego inaccettabile.
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Nel servizio RSI, l’intervista all’avvocato che ha opposto ricorso -e professore dell’Università di Losanna- Rémy Wyler.
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