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Ripristino dei controlli alle frontiere, un campo minato per Berna?

Un agente ferma un'auto a un valico doganale.
Tornare a controlli sistematici ai valichi doganali? Ci sta pensando la destra svizzera. KEYSTONE

La proposta che sta meditando di lanciare l'UDC (destra) potrebbe monopolizzare il dibattito politico interno e le relazioni tra Svizzera e Unione Europea.

L’iniziativa popolare che ha in mente di lanciare il partito di destra Unione democratica di centro (UDC) sui controlli alle frontiere rischia di incrinare i difficili rapporti tra Svizzera e Unione Europea.

Secondo l’opinione largamente condivisa la proposta sarebbe infatti in contrasto con l’accordo di Schengen, cui ha aderito anche Berna, che ha tra i suoi punti fondanti proprio l’abolizione dei controlli sistematici ai valichi doganali interni all’Europa che ora si vorrebbero invece ripristinare.

E le conseguenze di una rottura su questa questione con l’UE potrebbero costare care alla Confederazione, secondo quanto emerge da uno studio commissionato recentemente dal Governo.

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I delegati e le delegate decideranno sabato prossimo su questa iniziativa denominata “Per la protezione delle frontiere” ma lo scenario politico che potrebbe dischiudersi da una sua futura eventuale accettazione popolare potrebbe far rivivere una vicenda analoga a quella sorta con l’approvazione dell’iniziativa contro l’immigrazione di massa del febbraio 2014.

Una storia ventennale

In proposito val la pena di ricordare che nel 2005, popolo e Cantoni hanno votato a favore dell’associazione agli accordi di Schengen e Dublino che riguardano la libertà di circolazione e l’asilo entrati poi in vigore quindici anni fa.

Con il recente ingresso, il 31 marzo 2024, di Bulgaria e Romania nell’area Schengen, sono saliti a 29 i Paesi europei – 25 Stati dell’UE più i 4 dell’Associazione europea di libero scambio (AELS), vale a dire Norvegia, Islanda, Liechtenstein e Svizzera – che integrano l’area Schengen, nella quale, secondo la Commissione europea, vivono circa 425 milioni di persone.

In realtà Bulgaria e Romania non sono ancora completamente integrati: sono stati aboliti infatti solo i controlli alle frontiere aeree e marittime quando si viaggia da uno Stato Schengen mentre i controlli delle persone continuano a essere effettuati alle frontiere terrestri.

Abolizione delle frontiere interne

L’accordo di Schengen è stato firmato nell’omonima città del Lussemburgo nel 1985 da Germania, Francia, Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo. Il suo obiettivo principale è l’abolizione dei controlli alle frontiere interne. I controlli sono effettuati solo alle frontiere esterne dell’area Schengen.

L’accordo di Dublino invece riguarda l’asilo. Esso stabilisce che una persona che chiede asilo può presentare domanda solo in un Paese dell’area Dublino. La Svizzera può quindi rinviare una persona che ha già presentato una richiesta di asilo in un Paese dell’area Dublino a questo Stato. L’accordo mira a evitare che due Paesi esaminino contemporaneamente la stessa domanda d’asilo.

L’iniziativa in dettaglio

Il testo dell’iniziativa all’esame dei delegati e delle delegate dell’UDC prevede, oltre al già citato ripristino dei controlli sistematici alla frontiera elvetica, che alle persone in entrata nella Confederazione da un Paese terzo considerato sicuro, non vengano concessi né l’ingresso né l’asilo. Inoltre si vuole fissare un tetto massimo di 5’000 richieste d’asilo accolte in un anno.

La questione sollevata da più parti riguarda però la legittimità di questa proposta. I controlli sistematici alle frontiere non sarebbero infatti compatibili con l’accordo di Schengen, secondo cui è consentita l’introduzione temporanea di tale pratica solo in caso di pericolo alla sicurezza interna.

A metà maggio erano otto i Paesi che si sono avvalsi di questa possibilità, giustificata con una minaccia terroristica o la pressione migratoria (la Germania, ad esempio, effettuerà probabilmente controlli sulle persone al confine svizzero fino al 15 giugno).

PIL in diminuzione

Se Berna vorrà però intraprendere questa strada dovrà essere valutato bene, preventivamente, l’impatto di una sua uscita unilaterale dal sistema Schengen.

Alcuni anni fa, il Governo federale ha commissionato un rapporto sulle conseguenze economiche e finanziarie in caso di uscita da Schengen/Dublino. Il documento, presentato nel 2018, indicava che il prodotto interno lordo (Pil) della Svizzera diminuirebbe tra l’1,6 e il 3,7% entro il 2030.

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Altre conseguenze deriverebbero dall’aumento del tempo e del denaro speso per attraversare le frontiere e l’aumento dei costi nel settore dell’asilo. Le autorità di polizia perderebbero anche l’accesso al sistema informativo di Schengen, il che comporterebbe, secondo quanto indicava il rapporto, un oggettivo indebolimento della sicurezza all’interno della Confederazione.

Conseguenze politiche

Questo da un profilo eminentemente contabile e pratico. Un effetto di ben altra portata lo si avrebbe sul piano politico, o meglio nei rapporti diplomatici e commerciali tra Berna e Bruxelles.

L’iniziativa UDC approvata alle urne il 9 febbraio 2014, che introduceva a livello costituzionale il principio del contingentamento dei flussi migratori, ha dimostrato quanto siano labili e fragili gli intensi rapporti con l’Unione Europea.

A giudizio della Commissione Europea il testo confliggeva con l’accordo di libera circolazione delle persone: Governo e Parlamento hanno dovuto dar prova di grande equilibrismo e creatività per mettere a punto in due anni un disegno di legge che attuasse in maniera conforme all’accordo bilaterale il disposto costituzionale.

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L’uovo di Colombo è stato individuato nel meccanismo della priorità ai lavoratori e lavoratrici indigene che a detta però dell’UDC ha finito per depotenziare e di fatto eludere la proposta (contingenti annui di stranieri) approvata alle urne dal popolo.

Da sottolineare il fatto poi che proprio in questo momento Berna e Bruxelles sono tornate al tavolo dei negoziati dopo la rinuncia, nel maggio 2021, del Governo svizzero a firmare l’accordo istituzionale. Questa intesa avrebbe dovuto rendere “dinamico” il recepimento nell’ordinamento elvetico delle modifiche normative riguardanti il mercato unico europeo, cui come è noto, partecipa anche la Confederazione, pur non essendo un membro dell’UE.

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