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Il Partito socialista critica l’ondata populista in Europa

i copresidenti del Partito socialista, Mattea Meyer e Cédric Wermuth
I copresidenti del Partito socialista, Mattea Meyer e Cédric Wermuth. Keystone-SDA

Riunitisi sabato a Briga per l'assemblea dei delegati, i copresidenti del Partito socialista (PS), Mattea Meyer e Cédric Wermuth, hanno criticato l'ondata populista che da Donald Trump soffia sull'Europa.

Questa ondata rappresenta una minaccia, secondo i due consiglieri nazionali. “Trump e i giganti della tecnologia stanno minando le fondamenta della democrazia con campagne di disinformazione mirate”, hanno spiegato.

“Sui social media di loro proprietà, milioni di persone sono esposte ai loro messaggi di odio”, ha affermato Mattea Meyer davanti a 500 persone. Sulla stessa linea Cédric Wermuth, secondo cui leader nazionalisti come Herbert Kickl in Austria, Alice Weidel in Germania e Viktor Orban in Ungheria sono sinonimo di arbitrio e sfruttamento.

Queste persone, a detta del consigliere nazionale argoviese, vogliono distruggere la coesione europea, mentre noi vogliamo un’Europa dei popoli e della giustizia sociale. Stando a Wermuth, inoltre, la solidarietà dei partiti “borghesi” svizzeri con l’Ucraina è solo “una cortina di fumo” e questa è “una vergogna per il nostro Paese”.

La settimana scorsa lo stesso Wermuth si è recato a Kiev con una delegazione del PS per sostenere la creazione di un partito gemello in quel Paese. Per il copresidente del PS è un oltraggio affermare, come è stato fatto nel Parlamento svizzero, che è ora di rimandare indietro i rifugiati dall’Ucraina col pretesto che “qualche attacco aereo” non sarebbe sufficiente per parlare di guerra. “Nessuno di loro è stato in Ucraina per tre anni”, ha affermato, aggiungendo che per la gente di Kiev la guerra è una realtà.

Beat Jans: “Non chiudiamoci”

Anche il consigliere federale Beat Jans si è espresso nel corso dell’incontro. Il ministro della giustizia ha chiesto una discussione obiettiva sulla sicurezza, dopo gli attacchi in Germania. “Non è chiudendo le frontiere che risolveremo il problema”, ha detto.

Per il socialista, ciò equivale a stigmatizzare i richiedenti asilo considerandoli tutti individui violenti, e sigillare le frontiere significherebbe stendere del filo spinato tra Svizzera e Germania: “Entrambe le cose sono sbagliate e assurde”.

Il consigliere federale ha puntato il dito contro le “promesse vuote”: “È in questo modo che si mina la fiducia nella politica e nella democrazia”. Jans ha invece parlato di rafforzare la sicurezza interna: “Ciò non avviene mettendo la polizia alle frontiere e facendo controllare i passaporti”.

Nel suo discorso il ministro socialista ha citato una serie di punti concreti su cui intervenire: tra le altre cose, il rafforzamento della lotta alla criminalità organizzata e alla violenza domestica e sessuale, una migliore cooperazione transfrontaliera tra le forze di polizia, ma anche una maggiore sicurezza sociale e una migliore integrazione dei rifugiati nel mondo del lavoro.

La Svizzera sta facendo meglio di altri Paesi in materia di asilo, ha sottolineato il capo del Dipartimento federale di giustizia e polizia (DFGP): “Non dobbiamo mai dimenticare la ragion d’essere del sistema di asilo: offrire protezione a persone che sono fuggite da guerre e persecuzioni. Siamo fedeli alla nostra tradizione umanitaria. Stiamo parlando di esseri umani”

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