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Oggi in Svizzera

Care lettrici e cari lettori,

"Nel 2023 la polizia svizzera ha sparato due volte". Sembra quasi impossibile, eppure, il ricorso alle armi da fuoco è fortunatamente in netto calo da parte delle forze dell'ordine elvetiche. A rivelarlo sono i dati resi noti dalla Conferenza dei comandanti delle polizie cantonali. Si tratta del numero più basso degli ultimi quattordici anni.

Dall'altra parte, l'uso degli storditori elettrici - noti anche come taser – è tuttavia aumentato. Complessivamente ci sono stati 86 interventi con questo tipo di dispositivi, ossia 17 in più rispetto al 2022.

Vi lascio ora alle altre notizie del giorno. Buona lettura!

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Keystone

Dopo aver bloccato i suoi contributi per mesi, la Svizzera ha stanziato 10 milioni di franchi per l’UNRWA, l’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei profughi palestinesi, per sostenere i 2,3 milioni di persone che dipendono da questi aiuti.  

Lo ha deciso oggi il Consiglio federale precisando che il finanziamento sarà limitato a Gaza e servirà a coprire i bisogni più urgenti della popolazione: cibo, acqua, alloggio, assistenza sanitaria di base e logistica. In gennaio, diversi Stati avevano sospeso i rispettivi contributi all’UNRWA a causa delle accuse – finora non provate – di complicità di alcuni suoi collaboratori nell’attacco di Hamas a Israele del 7 ottobre. Nel frattempo, molti donatori hanno ripreso i versamenti (compreso – proprio nelle scorse ore – anche l’esecutivo italiano) e altri si sono aggiunti. Nel decidere sugli aiuti, il Governo svizzero si è coordinato con gli altri contribuenti.  

La decisione odierna si basa sul rapporto del gruppo di valutazione indipendente, diretto dall’ex ministra degli affari esteri francese Catherine Colonna, che doveva verificare la neutralità dell’UNRWA, spiega il Governo in un comunicato.  

Le Commissioni della politica estera (CPE) delle Camere federali saranno consultate, come stabilito dal Parlamento lo scorso dicembre. L’importo destinato agli aiuti di emergenza a Gaza si aggiunge al pacchetto di 56,2 milioni di franchi stanziato per rispondere alle esigenze umanitarie in Medio Oriente approvato il 24 aprile 2024 e già sottoposto alle CPE.  

auto incolonnate sulla strada per il san gottardo
Sì alla deviazione automatizzata del traffico, no al pedaggio. KEYSTONE

L’idea di introdurre un pedaggio o un dosaggio dei transiti nelle gallerie del San Gottardo e del San Bernardino, per contenere il traffico, non è realistico e sarebbe anzi controproducente. A sostenerlo è il Consiglio federale che risponde così a una proposta avanzata da più fronti negli ultimi anni.  

Il Governo parte da una constatazione: le code che si formano sulle strade nazionali nella regione alpina – ma anche nelle zone dell’Altipiano, nelle città e negli agglomerati – durante i giorni festivi primaverili e le vacanze estive determinano spostamenti di traffico verso le strade cantonali, con disagi importanti per la popolazione locale

Per migliorare la situazione, la Confederazione ha esaminato oltre 80 provvedimenti, valutandone adeguatezza e fattibilità. Dall’analisi, il Governo raccomanda di approfondire la possibilità di un dosaggio automatico agli svincoli delle autostrade A2 e A13 anziché l’intervento manuale, come avviene oggi, da parte della polizia cantonale o dei servizi di regolazione della circolazione. Grazie al sistema di dosaggio, il traffico defluisce sulle strade cantonali soltanto nella misura in cui queste sono in grado di assorbirlo in modo scorrevole. 

Un sistema che contempli la prenotazione di una determinata fascia oraria per transitare nella galleria del San Gottardo o del San Bernardino – con degli “slot” – non è attuabile nella pratica, stando al Governo. La realizzazione richiederebbe aree di attesa di grandi dimensioni, irrealizzabili ai trafori alpini per mancanza di spazio. L’introduzione di un pedaggio avrebbe un impatto positivo sulla viabilità, ma il Cantone Ticino sarebbe così collegato al resto del Paese soltanto attraverso strade a pagamento visto che i passi restano chiusi per buona parte dell’anno

denaro banconote
© Keystone / GAETAN BALLY

Una complessa rete criminale internazionale, attiva da anni nel traffico di metalli preziosi e beni di lusso, nonché nel riciclaggio di denaro è stata sgominata nel giugno 2023 grazie alla collaborazione tra la Polizia federale svizzera (fedpol) e le autorità di due Paesi confinanti.

L’operazione ha portato all’arresto di dieci persone, due delle quali in Svizzera, che lavoravano per la ‘ndrangheta. Se ne ha notizia grazie al rapporto annuale della fedpol, che ha definito il caso “un esempio paradigmatico della cooperazione internazionale”. Il portavoce Christoph Gnägi ha dichiarato che il procedimento non è ancora concluso: per questo motivo non sono state fornite informazioni già la scorsa estate né si possono dare ulteriori dettagli sui due Paesi limitrofi coinvolti. 

Tutto è iniziato nel 2019, quando fedpol riceve una richiesta da parte di un’autorità di polizia concernente una vettura immatricolata nel Canton Zurigo; nello stesso momento anche due Paesi vicini presentano la stessa domanda. Le indagini percorrono l’Europa in lungo e in largo. La Svizzera e i suoi partner uniscono le forze e formano una squadra investigativa congiunta (“Joint Investigation Team”, JIT). Le indagini proseguono per anni e confermano il sospetto che si tratti di una rete di criminali specializzati. 

Nel giugno 2023, dopo mesi di pianificazione e coordinamento meticolosi, si passa all’azione con interventi in contemporanea nei tre Paesi, cui hanno partecipato oltre 150 agenti di polizia. Ne è emerso un sistema complesso in cui i presunti malviventi raccolgono grandi somme di denaro contante da gruppi criminali – provenienti in gran parte dal traffico internazionale di stupefacenti – scambiandole poi con metalli preziosi e beni di lusso.

long covid
Keystone

Le assicurazioni malattia dovranno sostenere le spese legate al trattamento del Long Covid. Lo ha stabilito il Tribunale federale dando ragione a un paziente che si era visto rifiutare il rimborso delle spese mediche dalla propria cassa malati. 

Nel 2020, il paziente – Christian Salzmann, un noto presentatore radiofonico svizzero tedesco – si ammalò di Covid-19 e poté tornare al lavoro solo dopo un lungo congedo per malattia. Le sue condizioni, però, non sono tornate ottimali. Vertigini, difficoltà a esprimersi, intolleranza a luci e rumori hanno continuato ad accompagnarlo a lungo. Fastidi per i quali i medici gli hanno in seguito diagnosticato il Long Covid. 

Salzmann è potuto tornare a lavorare grazie a una cura che ha alleviato i sintomi, ma che gli è costata 20’000 franchi. Cifra che la cassa malati si è rifiutata di rimborsare. L’uomo ha quindi presentato un ricorso alla più alta istanza giuridica elvetica, che gli ha infine dato ragione. 

Il rappresentante legale dell’assicurazione malattia sostiene si tratti di un pericoloso precedente. C’è il rischio, ha detto, di portare il sistema alla deriva. Secondo lui le casse malati potrebbero dover essere costrette a rimborsare trattamenti la cui efficacia non ha nessuna prova scientifica.

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