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Le carte segrete dietro al tentativo di vendita dei Leopard 1 ‘italiani’ alla Germania

Un Leopard 1.
Un Leopard 1 A5. Keystone / Morris Macmatzen / Pool

Le vicende dietro al tentativo di vendita dei Leopard 1 immagazzinati in Italia rivelate da documenti segreti: dall'accordo di vendita con la Germania già firmato prima dell’approvazione del Consiglio federale alle mail alla SECO in cui RUAG descrive i carri armati “Leopard 1” di sua proprietà come mezzi “non adatti alla guerra”, fino alla tardiva richiesta ufficiale di esportazione di materiale bellico destinato all’Ucraina, malgrado il diniego preliminare del Dipartimento federale dell’Economia.

C’è tutto questo nei documenti ottenuti dalla Cellula inchieste della RSI sulla vicenda dei 96 “Leopard 1” che RUAG – azienda interamente di proprietà della Confederazione – avrebbe voluto vendere alla società tedesca “Rheinmetall” per ricondizionarli e riesportarli poi in Ucraina.

Una vendita bloccata definitivamente dal Consiglio federale a fine giugno. Un “no” per garantire la neutralità della Svizzera, che sembrava aver chiuso la vicenda. Ma a riaprirla in queste ore sono le dimissioni dell’amministratrice delegata di RUAG Brigitte Beck e le polemiche che ne sono seguite. La RSI è in grado di ricostruire i principali passaggi di questa mancata vendita basandosi sui documenti ufficiali.

Le prime mail della SECO

Tutto inizia lo scorso 6 febbraio. In una mail RUAG chiede informazioni preliminari sulle possibilità di vendita e ri-esportazione di 96 carri armati “Leopard 1” modello “A5”. Sono vecchi “panzer” degli Anni Sessanta: nel 2016 RUAG ne aveva acquistati cento dall’esercito italiano, lasciandoli in Italia in questi anni.

Con l’invasione russa in Ucraina, questi mezzi da combattimento diventano molto richiesti da diversi paesi europei. Germania, Olanda e Danimarca vorrebbero acquistarli per ammodernarli e trasferirli poi in Ucraina. I veicoli verrebbero venduti alla Rheinmetall, pagati dall’Olanda e arriverebbero in Ucraina transitando per un terzo paese “imprecisato” (o segreto?) come scrive RUAG alla SECO.

“Non è materiale adatto alla guerra”

Il 13 febbraio la SECO chiarisce: la vendita non è possibile a causa del divieto di export di armi verso l’Ucraina introdotto a marzo 2022 – appena dopo l’inizio della guerra. Un paio di giorni più tardi, in una nuova mail, RUAG spiega alcuni dettagli: la consegna all’Ucraina riguarderebbe in tutto “80-90” veicoli, in base alle loro condizioni. Alcuni mezzi potrebbero essere “cannibalizzati” per ottenere pezzi di ricambio. “È probabile che sia necessaria la sostituzione di tutti i motori e delle canne delle armi” scrive RUAG, che parla di un “pacchetto” comprendente anche utensili di ricambio e altre tecnologie. La tedesca Rheinmetall insomma dovrebbe lavorare parecchio utilizzando anche fornitori aggiuntivi rispetto alla RUAG, come scrive la stessa società di armamenti elvetica. RUAG spiega al Dipartimento federale guidato da Guy Parmelin che il pacchetto (carri armati e pezzi di ricambio) è “tutt’altro che materiale adatto alla guerra”. I veicoli “sono in pessime condizioni”, come si legge in una mail di RUAG del 15 febbraio.

Il contratto per la riesportazione dei carri armati destinati all’Ucraina e le mail con la SECO. I documenti ottenuti in esclusiva dalla Cellula inchieste della RSI permettono di ricostruire l’intera vicenda.

La corrispondenza tra RUAG e SECO

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Il contratto tra RUAG e Rheinmetall

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Il contratto tra RUAG e il “cimitero dei carri armati”

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Ma questi tank devono essere considerati strumenti da guerra o ferraglia arrugginita? RUAG insiste: per recuperare la piena funzionalità, i mezzi “devono essere ispezionati, completamente smontati e ricostruiti”. Per la SECO si tratta comunque di “materiale bellico”, come scrive nella sua risposta inviata via posta proprio nel giorno del 1° anniversario dell’invasione russa in Ucraina: il 24 febbraio 2023. “Il commercio di questo materiale bellico – si legge – è vietato”.

Un contratto già pronto e firmato

Qualcosa però non è chiaro. La Cellula inchieste della RSI è in possesso del contratto di vendita tra RUAG e Rheinmetall (di cui però vengono oscurati alcuni dettagli tra la data di sottoscrizione e il prezzo di vendita dei Leopard) e anche della domanda ufficiale di esportazione di materiale bellico presentata da RUAG alla SECO il 27 aprile 2023.

Procediamo con ordine. A fine febbraio la Segreteria di Stato per l’economia fornisce un parere preliminare ma ufficiale, confermando il divieto di riesportazione dei carri armati.

Il 13 marzo la consigliera federale Viola Ahmerd – rispondendo alle domande in Parlamento – afferma che RUAG non è autorizzata a vendere i Leopard alla Germania. E che la SECO ha respinto una richiesta preliminare di RUAG.

Due giorni dopo, il CEO di Rheinmetall Armin Papperger afferma in un’intervista alla NZZ che la sua società ha comprato i Leopard “in Italia”. Alla domanda se il venditore fosse RUAG, risponde: “Non lo so. Li ho acquistati da un’azienda italiana”.

Eppure non li ha ancora comprati. Perché allora lo afferma? Quali gli accordi e le trattative in corso? Restiamo ai documenti ufficiali.

Alcune risposte potrebbero arrivare proprio dal contratto tra RUAG e Rheinmetall: un documento già pronto e firmato ben prima dell’attesa decisione del Governo federale, che a fine giugno negherà la vendita. Ma allora, quando è stato sottoscritto questo contratto tra RUAG e Rheinmetall? La ministra della Difesa Viola Amherd ne era al corrente? Se sì, ha avuto un ruolo nelle trattative?

Probabilmente l’accordo è stato definito e firmato prima delle affermazioni del Ceo di Rheinmetall a metà marzo, perché a quel punto Papperger considera i Leopard come già acquistati. Ma chi era a conoscenza del contratto firmato dall’azienda di armamento di proprietà della Confederazione?

Un’altra anomalia: la richiesta ufficiale “last minute”

Nel contratto tra RUAG e Rheinmetall si fa riferimento a una data precisa: se entro il 30 aprile 2023 “non saranno state concesse tutte le necessarie autorizzazioni da parte delle autorità svizzere” la società tedesca potrà recedere dall’acquisto. Eventuali forniture e servizi già forniti in attesa del passaggio di proprietà “dovranno essere restituiti”. Ma se il contratto scade a fine aprile in assenza di autorizzazione svizzera, perché RUAG presenta una domanda ufficiale di esportazione di materiale bellico solo pochi giorni prima?

Questa domanda – consultata dalla Cellula inchieste della RSI – è datata 27 aprile 2023. È una richiesta di “licenza commerciale per materiale bellico”. La lista dei beni comprende 3 tipologie: 96 carri armati “Leopard 1”, un set di “ricambi, assemblaggi e utensili speciali” e uno di “tecnologie e documenti, inclusi i diritti di utilizzo”. La categoria di esportazione è la “KM6” prevista dall’allegato 1 dell’Ordinanza concernente il materiale bellico (OMB), che comprende tra l’altro veicoli corazzati “appositamente progettati o modificati ai fini di combattimento”.

Ma non erano forse ferraglia poco adatta al contesto bellico, come aveva scritto RUAG? Perché presentare la domanda solo a fine aprile, a tre giorni dai termini di decadenza del contratto con Rheinmetall?

Domande che la RSI avrebbe voluto porre al presidente del Consiglio di amministrazione di RUAG Nicolas Perrin. Ma la richiesta di intervista viene declinata. Una portavoce, lo scorso 20 luglio, ha così risposto per iscritto: “Poiché nel contratto con il potenziale acquirente era stato concordato, con l’ausilio di una clausola, che l’affare sarebbe andato avanti solo se fosse stata ottenuta l’approvazione ufficiale, era necessaria una richiesta ufficiale che comportasse una decisione ufficiale e formale”.

La RSI ha inoltre chiesto a RUAG di visionare i Leopard o di avere documentazione fotografica o video da sottoporre ad esperti per una valutazione indipendente delle loro effettive condizioni. Questi carri armati – ha scritto la portavoce in una mail – “all’epoca (dell’acquisto) non erano in servizio da oltre dieci anni e non erano già più operativi”.

Al momento, precisa RUAG, i veicoli “non sono adatti al servizio. Ci vorrebbe un grande sforzo e lavoro per renderli di nuovo idonei alla guerra e operativi”.

Impossibile – sulla base di questi elementi – valutare le reali condizioni di questi carri armati.

Ultimo atto, il “no” del Consiglio federale

Per la CEO di RUAG Brigitte Beck – che si è dimessa lunedì scorso – si può comunque tentare la vendita. In un intervento pubblico, suggerisce che Germania e Spagna acquistino i Leopard anche senza permesso delle autorità svizzere. Dichiarazioni che accendono le polemiche. A inizio giugno l’agenzia statale di stampa olandese ANP scrive che il governo dei Paesi Bassi intende acquistare i Leopard “da una società svizzera, ma è consapevole della riluttanza di Berna”.

Le Camere federali esamineranno la vicenda di Brigitte Beck, CEO di Ruag MRO Holding, che lunedì scorso ha annunciato le sue dimissioni.

In particolare, sarà necessario scoprire perché Ruag ha acquistato dei Leopard 1 dall’Italia, quando questo tipo di carro armato non è mai stato utilizzato dall’esercito svizzero, che ha sempre usato la versione Leopard 2.

La decisione di Brigitte Beck di lasciare Ruag MRO Holding è stata motivata dalle polemiche sulle sue dichiarazioni in merito alle esportazioni di armi svizzere in Ucraina. In un’intervista rilasciata ad aprile ai giornali dell’editore CH Media, Beck ha criticato la politica di neutralità della Svizzera.

I risultati di un’indagine interna condotta dal consiglio di amministrazione di Ruag MRO non hanno rivelato “alcun reato o infrazione” da parte di Beck. La CEO sarebbe stata penalizzata non per la sua condotta aziendale ma per una questione politica.

Il 28 giugno quella riluttanza diventa un atto formale: il Consiglio federale conferma il “no” già anticipato dalla SECO a febbraio. La vendita dei carri armati – si legge in un comunicato – “sarebbe soprattutto in contrasto con la legge sul materiale bellico e comporterebbe un cambiamento nella politica di neutralità della Svizzera”.

Il primo ministro olandese Mark Rutte – oggi dimissionario – si dichiara “rammaricato”. Il diniego di Berna è l’ultimo atto, almeno ufficiale. Ma come era iniziata l’intera vicenda? Anche in questo caso, la RSI ha consultato i documenti originali che forniscono dettagli sulla provenienza dei carri armati che RUAG avrebbe voluto ri-esportare verso la Germania con destinazione finale poi in Ucraina.

L’acquisto dal cimitero dei carri armati in Italia

Nel 2016 Ruag acquista 100 “Leopard 1” usati: “as is” – cioè “nelle condizioni in cui si trovano”. L’esercito italiano si vuole disfare di questi mezzi. Sono cingolati dismessi, accatastati in gran parte in un deposito a cielo aperto nelle campagne di Lenta, nel vercellese. Il sindaco della cittadina, Giuseppe Rizzi, se n’era persino fatto regalare uno dall’esercito italiano per trasformarlo in un monumento. Al telefono, conferma alla RSI il trasferimento di un gran numero di mezzi, anche se – precisa – la gestione dei carri armati è di competenza delle Forze armate italiane. Ma quei veicoli – compresi quelli acquistati dalla Svizzera – lui li ha visti partire dal deposito piemontese. Erano diretti alle Officine “Goriziane” di Villesse, in provincia di Gorizia. Lo prevedeva il contratto tra RUAG e l’Agenzia Industrie Difesa, società che sette anni fa effettuò la vendita per conto del Ministero della Difesa italiano.

RUAG li paga in tutto 4,5 milioni di euro, come si legge nel contratto: circa 45’000 euro per ogni “Leopard 1”. Inizialmente la società elvetica sembra intenzionata a rivendere questo materiale al Brasile, poi l’accordo sfuma. E l’investimento di denaro pubblico resta – letteralmente – parcheggiato in Italia. Se operativi e funzionanti, questi mezzi oggi, con la guerra in Ucraina, potrebbero valere anche più di un milione di euro a pezzo stando ad alcune fonti. 

Il contratto sottoscritto da RUAG sette anni fa comprendeva oltre ai 100 tank anche un catalogo di 4’759 voci: decine di migliaia di pezzi di ricambio, tra cui rondelle, rosette reggispinta, tiranti, fascette, staffe, pomelli della leva del cambio, viti, pistoni, parafanghi ma anche cannocchiali telescopici da puntamento. Il tutto descritto nel dettaglio in 131 pagine.

RUAG all’epoca aveva accettato di versare il prezzo di acquisto in 4 rate presso la Banca “UBAE”, istituto di credito di proprietà per oltre l’80% della Libyan Foreign Bank “banca offshore specializzata in esportazioni di petrolio dalla Libia”, come si legge sul sito dello stesso istituto di credito, che ha sedi a Milano e Roma ed è legato alla Banca Centrale libica.

Entro la fine del 2017 RUAG avrebbe dovuto trasferire tutti i “Leopard” in Friuli Venezia-Giulia. Dove forse giacciono abbandonati tuttora. “Goriziane” non conferma, trincerandosi dietro la tutela della privacy dei suoi clienti. Nemmeno RUAG lo conferma. Si limita a dichiarare alla RSI che si trovano “presso un partner logistico” in Italia. E chissà quanto a lungo rimarranno ancora lì.

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