La Svizzera e le sue stazioni di sci fantasma
Nella Confederazione 65 impianti di risalita sono all'abbandono. Seggiovie, sciovie e persino funivie: questi impianti vengono dismessi per motivi economici, ma sempre più spesso anche per ragioni climatiche.
Come bisogna procedere con queste infrastrutture? Sbarazzarsene? La questione dello smantellamento occupa tutte le regioni montane. Secondo un’indagine dell’ONG Mountain Wilderness, rivelata nel programma Mise au Point della televisione svizzera di lingua francese RTS, in Svizzera 65 impianti sono ormai obsoleti.
L’ONG ha elencato tutti gli impianti di risalita dismessi di cui sono ancora visibili i piloni e la stazione di partenza o di arrivo. Il fenomeno è in aumento. Il motivo è da imputare alle crescenti difficoltà economiche delle stazioni sciistiche e ai problemi di innevamento legati al riscaldamento globale.
Mappa degli impianti di risalita abbandonati
“Siamo sorpresi dalle dimensioni del fenomeno. Queste strutture hanno un impatto enorme sul paesaggio. E con il cambiamento climatico, sempre più stazioni sciistiche saranno costrette a chiudere. Dobbiamo pensare a una strategia nazionale per smantellarle”, afferma Luisa Deubzer, responsabile del progetto per Mountain Wilderness. Per realizzare questo studio, l’ONG ha utilizzato immagini satellitari e ha poi verificato in loco.
La maggior parte degli impianti di risalita dismessi si trova nei cantoni di Vaud (10), Grigioni (9), Berna (9), Vallese (9) e Neuchâtel (7) e una buona parte si trova a un’altitudine inferiore ai 1’500 metri.
E in Italia?
Secondo il rapporto del 2023 di Lega Ambiente intitolato Neve DiversaCollegamento esterno, in Italia sono 249 gli impianti dismessi censiti dall’associazione, 15 in più rispetto all’anno precedente.
In diversi casi le infrastrutture sono state smantellate, ma sul territorio rimangono disseminati un po’ ovunque i ruderi di funivie, skilift e edifici vari.
Gli impianti temporaneamente chiusi sono invece 138 (+3 rispetto al 2022), mentre quelli sottoposti ad “accanimento terapeutico”, come lo definisce Lega Ambiente, sono 181 (+33).
Località fantasma
Mise au Point si è recata a Bourg Saint-Pierre, in Vallese, nel comprensorio sciistico del Super Saint Bernard, chiuso nel 2010. I 20 piloni giganti della funivia stanno arrugginendo sulla montagna. La stazione di partenza, nel frattempo, è diventata un bersaglio per abusivi e festaioli. Il luogo è disseminato di rifiuti, le finestre sono rotte e i muri sono ricoperti di graffiti.
“È terribile per l’immagine del Vallese. È il primo edificio che si vede quando si arriva dall’Italia. È una verruca nel paesaggio. Preferirei che fosse demolito”, dice Claude Lattion, l’ultimo gestore del comprensorio sciistico. L’edificio stesso è un pericolo: le pareti sono piene di amianto e il terreno è probabilmente inquinato da metalli pesanti.
Finora, però, nonostante le ingiunzioni dell’Ufficio Federale dei Trasporti (UFT), né il Cantone né il Comune hanno proceduto allo smantellamento degli impianti. Gli attori si passano la palla. Nessuno vuole farsi carico di un progetto che costa diversi milioni di franchi svizzeri.
Comuni in difficoltà
Secondo le regole dell’UFT, qualsiasi impianto chiuso da cinque anni deve essere smantellato. Nella pratica, tuttavia, tali interventi sono rari per motivi finanziari. Per legge, la società che gestisce gli impianti di risalita è responsabile del loro smantellamento. Molto spesso, però, queste società sono fallite. L’onere ricade quindi sulle autorità locali, proprietarie del terreno.
È il caso della località vallesana di Torgon, dove due seggiovie e uno skilift sono in disuso dal 2015. Il Comune ha già stanziato 600’000 franchi per lo smantellamento, ma il conto potrebbe salire ulteriormente se la valutazione dell’impatto ambientale rivelasse un inquinamento. “L’Ufficio federale dei trasporti ci scrive regolarmente e si mostra comprensivo. Ma prima o poi dovremo fare i lavori”, dichiara la sindaca del comune Valérie Bressoud Guérin.
Cantieri partecipativi
In Francia, il fenomeno sta assumendo proporzioni drammatiche: 168 stazioni sciistiche, per lo più molto piccole, hanno chiuso definitivamente, lasciando dietro di sé centinaia di impianti con un forte impatto sul paesaggio, rischi di inquinamento e fastidi per la fauna selvatica
Di fronte all’inerzia dello Stato, stanno nascendo numerosi progetti partecipativi. A settembre, nel comune di Les Bouchoux, nel Giura francese, un gruppo di volontari e volontarie ha smantellato i piloni di un vecchio impianto di risalita, rimuovendo due tonnellate di rottami metallici dalla montagna. “Lo facciamo per i nostri figli. Che tipo di montagna vogliamo lasciare loro? Una montagna piena di prodotti tossici e di tralicci arrugginiti?”, dice Carmen Grasmick, responsabile del progetto.
Smantellare o provare a rilanciare?
A parte le questioni finanziarie legate al loro smantellamento, alcune persone non riescono a dire addio a queste installazioni, considerate come parte del patrimonio. A Château-d’Œx (Vaud), un gruppo di cittadini e cittadine ha acquistato una funivia e una seggiovia dall’autorità locale per la cifra simbolica di un franco. Sperano di rimetterle in funzione.
“La chiusura degli impianti di risalita ha provocato un calo dell’attività economica nella località. Molti negozi hanno chiuso. Vogliamo arrestare questo declino con impianti di risalita orientati a un turismo sostenibile e per quattro stagioni”, spiega Jean-Pierre Bach, albergatore della località e membro dell’associazione Edelweiss Paradise, che ha acquistato gli impianti.
Il reportage della trasmissione Mise au Point (in francese):
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