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La neve non basta per frenare l’arretramento dei ghiacciai

neve coperta di polvere del sahara
Immagine d'archivio. KEYSTONE

Le abbondanti nevicate dello scorso inverno non sono bastate a rallentare lo scioglimento dei ghiacciai. La colpa è della sabbia sahariana.

Chi sperava che l’abbondante neve caduta l’inverno scorso potesse aiutare i ghiacciai svizzeri a recuperare volume deve purtroppo ricredersi: la colpa è delle quantità inusualmente forti di sabbia arrivate dal Sahara.

Sul fronte degli arretramenti delle masse ghiacciate gli esperti speravano in realtà quest’anno in una pausa, riferisce giovedì Der Bund. In inverno ha infatti nevicato come non mai: all’inizio della primavera su numerosi ghiacciai elvetici c’erano strati di neve alti diversi metri. “Per trovare una quantità significativamente maggiore bisogna tornare indietro agli anni ’70”, spiega al quotidiano Matthias Huss, glaciologo al Politecnico federale di Zurigo (ETHZ).

Lo specialista riteneva che il 2024 sarebbe potuto essere l’anno in cui le massicce perdite degli ultimi due anni avrebbero potuto in qualche modo essere compensate. Prevedeva che alla fine di settembre, al termine dell’anno idrologico, il bilancio di massa fosse equilibrato per molti ghiacciai, cosa che si è vista per l’ultima volta nel 2014.

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“Fino a giugno sembrava tutto perfetto, ci sono state numerose giornate fredde e neve fresca a ripetizione”, afferma Huss. Con il perdurare del clima fresco e piovoso dell’estate, il glaciologo si aspettava addirittura una crescita media del ghiaccio di 20 centimetri per tutto l’anno.

Lo studioso è poi andato in vacanza per 15 giorni e al suo ritorno è rimasto sorpreso: i dati della rete di misurazione parzialmente automatizzata hanno mostrato un quadro diverso. “Nelle ultime sei settimane, su diversi ghiacciai si è perso uno strato di neve spesso fino a quattro metri”, sottolinea l’esperto. “Ora il bilancio di massa dei 12 ghiacciai misurati ha già raggiunto la linea dello zero, il che significa che stanno perdendo ghiaccio a ogni ulteriore giorno di caldo”. La situazione rimane quindi preoccupante: anche se le condizioni meteorologiche più favorevoli degli ultimi 10 anni dovessero prevalere sino all’autunno la perdita di ghiaccio non potrà essere evitata.

Colpa del deserto del Sahara

Come spiegare il forte cambiamento da giugno? Secondo Huss c’è solo un modo: oltre alle alte temperature di luglio, la polvere sahariana sulla neve deve avere accelerato lo scioglimento. “Senza un’indagine dettagliata, questa è una speculazione, ma è la spiegazione più plausibile”.

Nel periodo di Pasqua e in maggio i venti meridionali hanno portato in Europa una quantità insolita di polvere sahariana. Per molto tempo, i granelli del deserto non sono stati visibili sulla neve perché sono stati ripetutamente coperti da quella fresca: la polvere si è trovata fino a 2 metri sotto la superficie del manto. Quando, però, in primavera ha fatto sempre più caldo e la neve si è gradualmente sciolta, la sabbia del Sahara è ricomparsa.

+ Perché lo scioglimento dei ghiacciai riguarda ognuno di noi

Questo ha resto il manto nevoso sempre più sporco, con effetti sulla riflessione del sole. Quando la neve si scioglie, viene riflesso circa il 50% dei raggi solari, ma quando è sporca, la percentuale è notevolmente inferiore. “Varia da luogo a luogo, ma il tasso diminuisce in ogni caso”, osserva Huss.

L’inverno nevoso ha almeno contribuito a garantire che il 2024 non sarà un anno di perdite record di ghiaccio; è tuttavia improbabile che i ghiacciai si possano riprendere. Stando alla rete di monitoraggio Glamos il volume dei ghiacciai svizzeri è diminuito del 10% negli ultimi due anni. Ciò significa che si è perso tanto ghiaccio quanto tra il 1960 e il 1990: i ricercatori parlano di un declino drammatico. Ciò è dovuto a inverni con scarse precipitazioni ed estati molto calde, complice il riscaldamento globale.

Se in futuro i forti venti di trasporto di polvere sahariana dovessero diventare più frequenti lo scioglimento potrebbe risultare ulteriormente accelerato. Un’analisi del 2021 stima che la frequenza degli eventi in questione osservati dai satelliti sia raddoppiata tra il 2005 e il 2019. Una ragione potrebbe essere il cambiamento della circolazione atmosferica delle masse d’aria, ma non ci sono ancora prove scientifiche al riguardo, conclude il giornale.

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