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A gonfie vele l’esportazione di armamenti

Un carrarmato della RUAG
Keystone / Peter Klaunzer

La pandemia non ha colpito il settore degli armamenti. Le aziende svizzere nel 2020 hanno esportato infatti il 24% in più di materiale bellico. Danimarca, Germani e Indonesia i maggiori acquirenti.

Con l’autorizzazione della Confederazione, i prodotti sono stati trasferiti in 61 Paesi diversi per un valore totale di 901,2 milioni di franchi, contro il 728 milioni del 2019.

L’incremento di 173,2 milioni è da attribuire in particolare a grossi ordini da Danimarca, Indonesia, Botswana e Romania, si legge in un comunicato odierno della Segreteria di stato dell’economia (Seco). I 901,2 milioni equivalgono allo 0,30% dell’export totale delle industrie elvetiche, il dato più alto di sempre. L’incremento è tra l’altro in controtendenza rispetto agli altri settori.

Dove vanno le ami?

Fra i maggiori importatori di materiale bellico svizzero nel 2020 si sono piazzati Danimarca (con 160,5 milioni di franchi), Germania (111,8 milioni), Indonesia (111,6 milioni), Botswana (84,9 milioni) e Romania (59,2 milioni). Il 62% delle armi è stato inviato in Europa, mentre in Asia è stato spedito il 18,8%. Seguono Africa (9,6%), America (8,5%) e Australia (1,1%).


Iniziativa contro l’esportazione

Questa situazione rende ancora più importante l’iniziativa “Contro l’esportazione di armi in Paesi teatro di guerre civili (Iniziativa correttiva)”, ha sottolineato il Gruppo per una Svizzera senza Esercito .

Proprio la scorsa settimana il Consiglio federale ha invitato le Camere a respingere la proposta di modifica costituzionale. È stato però messo a punto un controprogetto che prevede un inasprimento delle prassi in materia.

L’iniziativa, che ha raccolto 126’355 firme valide in soli sei mesi, vuole fissare nella Costituzione il diritto per Parlamento e popolo di avere voce in capitolo nella vendita all’estero di materiale bellico.

Il controprogetto del governo si situa a metà strada: prevede che i criteri di autorizzazione vengano sanciti a livello di legge. L’inserimento di tali esigenze nella Costituzione, come chiesto dall’iniziativa, priverebbe infatti il Consiglio federale e il Parlamento “della competenza necessaria per adeguarli”, secondo il governo.

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tvsvizzera.it/fra con RSI


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