“Il mondo multilaterale è finito, la Svizzera esca dalla sua bolla”
Secondo la direttrice della Seco, Helene Budliger Artieda, la Svizzera deve uscire dal suo isolamento e compiere scelte pragmatiche riguardo al proprio futuro, in un mondo ormai dominato dal protezionismo dove l'epoca del multilateralismo è terminata.
L’epoca del multilateralismo favorevole alle piccole nazioni è finita e la Svizzera deve uscire dalla sua bolla: è ora che gli svizzeri decidano cosa vogliono.
Lo sostiene la direttrice della segreteria di Stato dell’economia (Seco) Helene Budliger Artieda, che mette il Paese di fronte a scelte cruciali: accettare le regole di un mondo diventato protezionista e complesso per salvaguardare la propria prosperità o rischiare l’isolamento. Dai dazi statuitensi ai cosiddetti Bilaterali III con l’Unione Europea la strada obbligata, avverte, è quella del pragmatismo negoziale.
“I dazi sono destinati a rimanere, indipendentemente da chi succederà a Donald Trump”, afferma la 60enne in un’intervista pubblicata venerdì da Le Temps. “Anche se il nuovo presidente fosse un democratico, questa logica protezionistica non scomparirà. La classe media americana sta soffrendo in alcune zone rurali e il presidente ha deciso di affrontare il problema. Forse non con ricette che ci piacciono, ma non possiamo farci nulla. Non credo che la classe media elvetica accetterebbe di dover svolgere più lavori per pagare le bollette, come invece accade ad alcuni americani”.
Critiche rispedite al mittente
L’ex ambasciatrice respinge le critiche riguardo a quanto avvenuto con gli Stati Uniti. “Ci è stato molto rimproverato di essere stati ingenui”, prosegue la diplomatica. “Personalmente, non credo sia così. Siamo sempre stati presenti. Il consigliere federale Guy Parmelin, il mio capo, non ha mai fatto così tanti viaggi in un solo paese. Lo stesso vale per la presidente della Confederazione Karin Keller-Sutter. Eravamo una squadra forte. E per molto tempo i riscontri che abbiamo ricevuto sono stati molto positivi. Anche per gli altri paesi è stato difficile. Oggi solo 16 nazioni hanno ottenuto una dichiarazione d’intenti e aliquote ridotte. E noi siamo tra questi. Anche questo va sottolineato”.
“Sapete, ho 60 anni e ho visto cadere il muro di Berlino”, osserva l’esperta con un diploma di commercio conseguito a Zurigo e studi a Bogotà, in Colombia. “Un evento che non avrei mai immaginato di vivere quando ero giovane. In seguito abbiamo vissuto in un mondo multilaterale, particolarmente favorevole a un piccolo paese come il nostro. Penso che, di conseguenza, viviamo in una sorta di bolla dalla quale oggi dobbiamo uscire. Ora la Svizzera deve imparare ad affrontare un mondo che è cambiato se vuole che la sua economia, il suo mercato del lavoro e la sua capacità di innovazione funzionino”.
Rapporti con l’UE
“Non bisogna quindi nascondere che anche il nostro rapporto con l’Unione Europea è complesso e che è necessario stabilizzarlo: spero che ci riusciremo e che poi le regole saranno chiare, forse per i prossimi vent’anni”, prosegue la specialista. “C’è una cosa che bisogna capire: noi vogliamo un accesso privilegiato al mercato europeo, ma non ne siamo proprietari. Sono i governi dei paesi membri dell’Unione europea che lo gestiscono. Quindi non spetta a noi stabilire le regole. Spetta invece a noi, e in ultima analisi al popolo svizzero, scegliere se accettare queste regole o se riteniamo che il prezzo sia troppo alto”. Sull’eventualità di un rifiuto dell’accordo con Bruxelles però avverte: “Certo, noi non ci siamo mai sposati, quindi non si può parlare di divorzio. Ma sarebbe comunque visto come una rottura della relazione. Quindi sarebbe un po’ come giocare con il fuoco”.
“Come in altre democrazie prospere, le divisioni sono in aumento”, argomenta l’alta funzionaria federale. “Ma fortunatamente in Svizzera abbiamo la possibilità di votare. E penso che ora sia davvero il momento di votare su alcune questioni importanti. Ad esempio, nel mio settore, ritengo che si debba votare sugli accordi di libero scambio: bisogna porre chiaramente la questione alla popolazione. E lo stesso vale per la migrazione, che è diventata un tema estremamente controverso. A un certo punto bisogna decidere. Se guardiamo al mercato del lavoro, gli svizzeri non vogliono più fare certi lavori: quale è la soluzione, in una società che sta invecchiando rapidamente, dove ci sono più persone che vanno in pensione che giovani che entrano nel mercato del lavoro? Non sono fatalista, né ingenua. Ma è ora che gli svizzeri decidano cosa vogliono”, conclude.
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