Le regole del mercato e la canapa light
Dal 2017 è possibile produrre e vendere in Svizzera infiorescenze di canapa con un basso tenore di THC. Viaggio in un mercato che non si è dimostrato la miniera d'oro che alcuni si aspettavano.
La canapa e i suoi derivati con una concentrazione di THC inferiore all’1% non sono più considerati stupefacenti dalla legge elvetica dal 2011.
Il “boom” della cosiddetta canapa light è però arrivato solo nel 2017, quando è diventato possibile produrre e commercializzare in Svizzera le infiorescenze non ulteriormente lavorate di questa pianta, purché il contenuto di THC non superi la soglia dell’1%.
Molti hanno visto un’opportunità, un nuovo “Eldorado”, e dai cinque produttori registrati a inizio 2017 si è passati ai 630 del 2018.
Ma da due anni a questa parte, qualcosa sta cambiando.
La conferma la si vede sul campo, o meglio, nei campi. Come recentemente scritto dal Corriere del TicinoCollegamento esterno, sul piano di Magadino (tra Bellinzona e Locarno), il verde della marijuana sta perdendo terreno a vantaggio del rosso dei pomodori.
Nel cantone, chi vuole coltivare canapa è obbligato a notificarlo alle autorità. Queste notifiche erano tre nel 2016, sono passate a 12 l’anno seguente e a 33 nel 2018. Da allora la tendenza sembra essere al ribasso. A fine ottobre 2020 le notifiche erano 24 (più tre in attesa di evasione).
L’oro verde luccica meno
Questa evoluzione è causata, con tutta probabilità, da una delle regole base del mercato: quando l’offerta supera la domanda, il prezzo del prodotto scende. È di questo parere Stefano Caverzasio, amministratore delegato di PurexisCollegamento esterno, impresa attiva nella commercializzazione e la trasformazione di questa materia prima dal 2011. Pur vendendo anche infiorescenze, la sua azienda si concentra soprattutto sui lavorati, come integratori, cosmetici e prodotti di standard farmaceutico, pressoché integralmente prodotti nel proprio laboratorio di Manno, dove è comunque presente anche una piccola struttura di coltivazione indoor autorizzata a scopo di ricerca e sviluppo.
“La saturazione della domanda di materia prima a cui stiamo assistendo in Svizzera ricalca una realtà già ben nota oltreoceano.” Stefano Caverzasio – Purexis
“La saturazione della domanda di materia prima a cui stiamo assistendo in Svizzera ricalca una realtà già ben nota oltreoceano (Stati Uniti, Canada e alcuni Paesi dell’America Latina), dove sono in aumento le aziende che rallentano o addirittura sospendono le loro produzioni poiché l’offerta di materia prima disponibile ha superato da tempo la domanda”, spiega Caverzasio.
Purexis riceve ogni settimana decine di richieste di coltivatori, svizzeri ed esteri, che cercano di collocare una materia prima il cui prezzo di mercato è precipitato.
Nel momento della loro “legalizzazione”, le infiorescenze non lavorate erano reperibili in commercio all’ingrosso a 5’000-10’000 franchi al chilo, a seconda della qualità. “Ora si può tranquillamente togliere uno zero”, indica Caverzasio.
A contribuire a questo abbassamento è stata anche l’emergenza di grandi produttori, attività con economie di scala che negli anni hanno esteso le loro superfici di coltivazione, in Svizzera e non solo.
Sono realtà sviluppatesi principalmente su due modelli: il primo è rappresentato dalle aziende del settore canapa che sono riuscite a espandersi, hanno rilevato altre imprese e altri terreni e operano in modo diretto.
Il secondo comprende le grandi aziende agricole che affittano le superfici e decidono di anno in anno se produrre canapa o meno, a seconda delle richieste di mercato, stipulando o disdicendo gli accordi di coltivazione.
Sono realtà che si possono permettere grandi produzioni di uno standard di qualità elevato con cui difficilmente una piccola azienda può competere.
Come il vino
Questa ipotesi è condivisa anche dal presidente dell’Associazione degli orticoltori ticinesi (OrTi) Andrea Zanini, che sulla stampa ticinese ha dimostrato a più riprese un certo scetticismo nei confronti della coltivazione di canapa.
Ci spiega che generalmente i proprietari delle aziende agricole non si occupano direttamente di questa pianta, ma subaffittano serre e terreni, oppure la coltivano insieme a terzi.
Alcune aziende con difficoltà economiche hanno visto nella cannabis “un’ancora di salvataggio”, dice, però non sapendo sempre con esattezza con chi si stessero mettendo in affari “qualcuno ha avuto brutte sorprese. Si sono fatte ingolosire, ma non tutti quelli che hanno seguito queste colture “erano all’altezza e qualcuno ha fatto un buco nell’acqua”.
“Per la verdura vale lo stesso discorso – prosegue Zanini. Se uno si è trovato in difficoltà, è perché non lavorava bene con la verdura. Se non hai un buon prodotto, fai fatica a commercializzarlo”.
Succede anche con l’uva, aggiunge. Molti hanno piantato vigneti che non sono andati bene. “C’è una selezione naturale di chi lavora con il verde”.
Il ritorno a colture tradizionali potrebbe inoltre essere attribuito ai prezzi di locazione dei terreni e serre affittati per la coltivazione di canapa, sottolinea Caverzasio: “In diversi casi erano sensibilmente più alti dagli usuali canoni di locazione applicati per medesime strutture coltivate invece ad ortaggi tradizionali. Il successivo generale livellamento dei prezzi ha probabilmente forzato anche un adeguamento dei costi verso tariffe più vicine ai canoni agricoli, fattore che ha forse scoraggiato chi ha affittato per coltivare canapa negli scorsi anni”.
“La Svizzera è fatta da quattro cose: l’assenzio, i casinò, le banche e la canapa.” Andrea R. – Dream project
Trovare il proprio posto nel mercato
L’analogia con il vino sembra essere particolarmente appropriata quando si discute con Andrea R. imprenditore che ha deciso di lanciarsi, per la seconda volta, nel business della canapa. La passione con cui parla delle sue piante, delle sfide da superare e delle tecniche da utilizzare affinché il prodotto finale abbia un determinata qualità e un determinato sapore, non è affatto dissimile a quella che avrebbe un patito viticoltore nel descrivere le sue vigne.
Andrea R. non è un novizio della canapa. A cavallo del nuovo millennio, quando aveva 25 anni, è stato tra coloro che hanno tentato la fortuna, e spesso l’hanno trovata, producendo e commercializzando cannabis. Allora in Svizzera c’è stato un periodo di vuoto legislativo. Le infiorescenze di canapa, anche con un grande contenuto di THC, potevano essere prodotte e vendute, ma – almeno in teoria – non consumate.
Era “l’epoca dei canapai”, i cui deodoranti per armadi hanno avuto un successo strepitoso, al punto che la gente arrivava a frotte anche dall’Italia per comprarli. Difficile credere che al mondo ci fossero così tanti armadi. Si sarebbe quasi potuto pensare che questi sacchetti profumati andassero in fumo dopo l’acquisto.
Il giro di vite del 2003 ha messo la parola fine a questo business e Andrea R. è tornato a fare il meccanico, pensando che il discorso sulla cannabis legale sarebbe stato archiviato in Svizzera per altri cent’anni.
Ne sono però bastati meno per muovere un passo in questa direzione e l’ora 45enne ha visto l’opportunità di “riscrivere il finale” della sua avventura, aprendo il suo Dream shopCollegamento esterno a Melide e ottenendo i permessi per coltivare la sua canapa light indoor, lontano dunque da campi e serre.
È questo il metodo che ha scelto per ritagliarsi il proprio spazio in un settore che a suo avviso, nel bene e nel male, rappresenta la Svizzera. Questo Paese – dice – è fatto da quattro cose: “L’assenzio, i casinò, le banche e la canapa”.
Per Andrea R., che incontriamo nella sua coltivazione indoor, l’evoluzione del mercato a cui si sta assistendo è positiva, poiché “chi lavora male dovrà sparire”.
Cambia la prospettiva
La coltivazione di cannabis, specialmente quella prodotta a scopo “ludico”, incontra ancora una certa stigmatizzazione in Svizzera, soprattutto a sud delle Alpi, ma rispetto agli anni 2000 qualcosa è sicuramente diverso. In primo luogo, le norme che ne regolano produzione e commercializzazione.
“La legislazione svizzera, nonostante alcune criticità, ha finora dimostrato di avanzare in modo chiaro, dettagliato e spesso molto prima dei Paesi che ci circondano, offrendo grandi vantaggi operativi a tutte le aziende svizzere del settore rispetto alle corrispettive europee che in alcuni casi operano tutt’ora in una situazione normativa poco chiara”, ritiene Stefano Caverzasio.
“Chi era bigotto è rimasto bigotto”, dice dal canto suo Andrea R., “ma adesso gli si può far notare che la cannabis è venduta anche nel supermercato dove fa la spesa. Se questo non fa cambiare idea, almeno fa riflettere”.
In secondo luogo, entra in gioco il fattore internazionale con la legalizzazione della cannabis senza limitazioni sul tenore di THC in buona parte degli Stati Uniti e in Canada. Ci sono segnali che indicano che un simile cambiamento potrebbe verificarsi anche nel Vecchio continente. La Svizzera ha già iniziato a intraprendere studi in questo senso. Andrea R. vedrebbe di buon occhio una tale evoluzione, che gli darebbe la possibilità di espandere la sua offerta con prodotti che promettono introiti molto meno “light”.
Caverzasio resta prudente riguardo alla possibile evoluzione legislativa in Svizzera. “In base alle informazioni finora ottenute al riguardo dalle Autorità federali, si prospetta uno scenario svizzero in cui i passi verso il THC resteranno moderati, con un auspicato vantaggio iniziale verso il progresso scientifico rispetto al mercato prettamente ludico”.
La sua speranza è che si possa proseguire a confermare la valenza terapeutica della canapa “per giungere presto ad un inquadramento commerciale che assicuri contenuti, tracciabilità, qualità e sicurezza costanti ai consumatori che ne necessitano l’utilizzo”.
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