“I dazi di Trump ci concernono direttamente, la Svizzera faccia un accordo con l’UE”
I dazi imposti dall'amministrazione statunitense a Messico, Canada e Cina devono preoccupare anche in Svizzera, perché "ci concernono direttamente".
Lo sostiene Stefan Brupbacher, direttore di Swissmem, l’associazione padronale dell’industria meccanica, elettrotecnica e metallurgica, che auspica ancora di più un avvicinamento all’Unione Europea (UE), criticando chi da sinistra frena su un accordo con Bruxelles.
“I dazi causano incertezza, che è veleno per l’economia globale”, afferma il 57enne in un’intervista pubblicata oggi dal Blick. “Inoltre le tariffe doganali renderanno molte cose più costose, soprattutto negli Stati Uniti. Questo è un male per il più importante motore della crescita: se l’economia americana dovesse rallentare le conseguenze si sentirebbero anche in Svizzera”.
Ma qual è l’impatto diretto della situazione – chiede il giornalista della testata zurighese – sulle imprese elvetiche? “Alcuni dei nostri affiliati hanno succursali in Cina o in Messico: non tutte hanno la possibilità di trasferire i dazi ai loro clienti statunitensi”, spiega l’ex segretario generale del PLR e in seguito segretario generale del Dipartimento federale dell’economia ai tempi di Johann Schneider-Ammann. “La situazione varia molto da settore a settore. L’industria automobilistica, in particolare, è un ramo brutale: i dazi aumentano la pressione sui fornitori affinché producano a costi ancora più bassi, oppure abbandonino l’attività.”
Anche il Canada introdurrà dazi del 25%, sulle merci statunitensi. “La Grande Depressione degli anni 30 ha dimostrato che una simile spirale di escalation può peggiorare drammaticamente la situazione economica”, argomenta il giurista che è stato anche in forza ai servizi del parlamento federale. “C’è il rischio che una guerra doganale possa sfuggire di mano”.
Il servizio del TG 20.00 del 4 febbraio 2025:
“La Svizzera ha comunque alcuni vantaggi”, prosegue l’intervistato che nel 2023 ha corso per il Nazionale nelle file del PLR – con il sostegno finanziario di Swissmem – senza però riuscire a essere eletto. “Abbiamo abolito tutte i dazi industriali, il che vale anche per i prodotti provenienti dagli Stati Uniti. Siamo anche il sesto investitore straniero negli Usa e creiamo posti di lavoro qualificati. Abbiamo fatto molte cose giuste. È compito della Confederazione sottolinearlo nei confronti di Washington ed evitare così malintesi”.
La Confederazione potrebbe comunque essere sotto pressione. “I paesi soggetti a dazi come la Cina cercheranno di vendere le loro merci altrove, ad esempio nell’Ue. Se l’Ue adotterà quindi misure di protezione contro i paesi terzi, la Svizzera dovrà lottare per ottenere clausole di esenzione. Altrimenti c’è il rischio di una debacle simile a quella che ha colpito l’acciaio e l’alluminio dal 2018”.
“Questo è anche un campanello d’allarme in termini di politica interna: i bilaterali III” – così viene chiamata dal mondo economico una possibile intesa con Bruxelles – “sono importanti, il 55% delle nostre esportazioni è destinato all’Ue”, aggiunge il professionista con dottorato conseguito a Zurigo. A suo avviso è incomprensibile il fatto che i sindacati stiano mettendo a rischio gli accordi bilaterali con il loro approccio da partita a poker.
Ma i referendum – chiede il cronista – non fanno parte della democrazia? “Sì, ma dopo dieci giorni di presidenza Trump appara chiaro che la Svizzera deve agire rapidamente e unita nel nuovo mondo. La politica di blocco della sinistra è un attacco frontale alla nostra industria di esportazione e ai posti di lavoro nella Confederazione”, conclude l’esperto.
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