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Dazi, svizzeri contrari all’accordo con gli USA

bandiera svizzera accanto a scritta swiss made
Keystone / Jean-Christophe Bott

Un sondaggio rivela una forte contrarietà della popolazione svizzera (69%) all'accordo doganale con gli Stati Uniti, a causa dello scetticismo verso le concessioni richieste alla Confederazione e della scarsa fiducia nell'amministrazione Trump.

Un sondaggio promosso dal Blick evidenzia la contrarietà della popolazione svizzera all’accordo doganale tra la Svizzera e gli Stati Uniti. Il 69% delle persone interrogate ha infatti dichiarato che in caso di votazione sul tema sarebbero “contrarie” o “piuttosto contrarie”.

Solo il restante terzo scarso del campione voterebbe favorevolmente, come emerge da un’infografica pubblicata mercoledì dal quotidiano zurighese.

Il sondaggio è stato eseguito dall’istituto Sotomo su incarico del Blick e ha coinvolto circa 9’300 persone a fine novembre, dunque successivamente alla dichiarazione d’intenti congiunta tra Berna e Washington per una riduzione dei dazi sui prodotti svizzeri dal 39 al 15%.

Nemmeno le concessioni fatte da parte della Confederazione sono viste di buon occhio, evidenzia un secondo grafico. Quattro persone su cinque considerano infatti estrema la rinuncia alle restrizioni sul flusso di dati verso gli Stati Uniti.

Scetticismo sulle promesse

Sono accolte con scetticismo anche le promesse fatte da parte elvetica come la rinuncia all’introduzione di una tassa digitale, l’importazione sotto franchigia doganale di quantità limitate di carne statunitense, i 200 miliardi d’investimenti di aziende svizzere negli USA e l’autorizzazione alla circolazione dei pick-up statunitensi. Il rafforzamento della collaborazione in materia di sanzioni contro terzi raccoglie qualche adesione in più, ma è rifiutata dal 55% delle e dei partecipanti all’inchiesta.

C’è inoltre scarsa fiducia nei confronti dell’amministrazione Trump. Alla domanda se sia ragionevole pensare che la tassa doganale venga mantenuta stabilmente al 15%, hanno risposto negativamente le e i simpatizzanti dei Verdi (al 71%), della sinistra e del Centro, solo tra le e i votanti del Partito liberaleradicale (PLR, destra) e dell’Unione democratica di centro (UDC, destra conservatrice) emerge una maggioranza positiva.

Il ministro dell’economia Guy Parmelin aveva respinto, a Radio SRF, le critiche per aver fatto troppe concessioni, sottolineando come finora sia stata firmata soltanto una dichiarazione d’intenti e che “adesso bisognerà negoziare”. Secondo il consigliere federale anche la Svizzera può avanzare delle pretese, per esempio chiedendo maggiori eccezioni in fatto di diritti doganali.

Riguardo alle tappe future, la dichiarazione d’intenti deve innanzitutto venire trasformata in un accordo vincolante, sottolineava sull’edizione di martedì della Neue Zürcher Zeitung la direttrice della Segreteria di Stato dell’economia (SECO) Helene Budliger Artieda. Dopo le negoziazioni, ci sarà la decisione del Parlamento. “A quel punto sarebbe possibile lanciare il referendum, ciò che lascerebbe l’ultima parola alla popolazione”, sottolinea la funzionaria.

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