“Sì alle classi separate, le quote rosa sono superate”

Per portare più donne in posizioni dirigenziali e nelle professioni tecniche occorrono classi scolastiche separate per sesso in alcune materie.
Lo sostiene l’economista Margit Osterloh, che considera anche superate le quote rosa: a suo avviso oggi sono gli uomini a essere discriminati.
L’esperta è – insieme a Katja Rost, professoressa di sociologia – autrice di uno studio, effettuato su mandato dell’Università di Zurigo (UZH), che due anni or sono ha avuto l’effetto di una bomba in Svizzera, ricorda oggi il Tages-Anzeiger (TA). Si trattava di stabilire perché la quota di donne negli atenei diminuisce man mano che si sale nella gerarchia. Il risultato: la causa non è la discriminazione, ma le diverse preferenze e ambizioni professionali dei due sessi. La ricerca – che ha livello giornalistico era stata riassunta con la frase “le studentesse preferiscono sposarsi che fare carriera” – è stata ora pubblicata su una rinomata rivista specializzata, soddisfacendo così ufficialmente gli standard scientifici.
“Sono contenta, ma non sorpresa”, commenta Osterloh. “La mia coautrice Katja Rost e io non abbiamo mai seriamente dubitato del nostro studio”. Il documento aveva provocato accesissime reazioni. “Quei tre mesi di polemiche sono stati duri e dolorosi. Anche il mio corpo ha reagito, ho perso molto peso. Credo che per Katja Rost sia stato ancora più difficile che per me. In qualità di professoressa in carica è stata attaccata direttamente dagli studenti. Io, invece, sono professoressa emerita, ho potuto vivere tutto con un po’ di distacco”. Un sostegno è giunto anche dal marito e dalla direzione di UZH.
“Sono stata criticata, tra l’altro, per la mia affermazione secondo cui le donne si lasciano convincere di essere discriminate, ma in realtà non lo sono affatto: la ribadirei ancora una volta”, puntualizza la specialista. “Le studentesse dei corsi di laurea femminili si occupano maggiormente dei temi legati agli studi di genere. La parola ‘genere’ attira la loro attenzione. A ciò segue mentalmente il concetto di ‘penalizzazione’, indipendentemente dal fatto che ciò corrisponda alla loro esperienza personale”.
“In passato le donne erano discriminate nelle università, ma attualmente non troviamo prove a sostegno di questa tesi”, prosegue l’ex docente di economia aziendale all’UZH. “Oggi questa discussione è molto accesa, anche tra le professoresse”. Per esempio 88 docenti donne del Politecnico federale di Zurigo (ETH) hanno scritto una lettera aperta in merito allo studio. “Questa ostilità mi ha sorpreso e ferito più di ogni altra cosa. All’ETH le professoresse insegnano materie prevalentemente maschili, in cui la percentuale di donne è bassa. È possibile che i nostri risultati le abbiano fatte sentire sospettate di essere donne lì in virtù di una quota”. A suo avviso la reazione delle professoresse è stata così violenta che la causa deve essere profonda. “Eravamo delle traditrici: abbiamo violato lo spirito del tempo e per questo siamo state massacrate”.
“Ad oggi nessuno ci ha chiesto scusa e gli attacchi erano sotto la cintura”, si rammarica la studiosa di origini tedesche. “Ci è stato ad esempio rimproverato che il nostro studio non fosse nemmeno all’altezza di una tesi di bachelor. La pubblicazione sulla rivista specializzata dimostra ora il contrario”.
“L’ironia della storia?”, si chiede l’82enne. “Nel corso della mia carriera mi sono impegnata molto a favore delle donne. Sono stata presidente della commissione universitaria per le pari opportunità e ho contribuito all’organizzazione di un congresso per ricercatrici di lingua tedesca. In quella sede ci siamo battute per l’introduzione degli studi di genere nelle università”.
“Continuo a occuparmi di studi di genere”, aggiunge. “Ma la rappresentazione unilaterale delle donne come vittime è un errore. E non si abbandona questa visione nemmeno quando la ricerca giunge a conclusioni diverse. Ad esempio le studentesse non sono più orientate alla carriera anche se studiano in un ambiente prevalentemente femminile: questo non può essere spiegato con la discriminazione”.
Al contrario, le alunne che frequentano corsi di laurea prevalentemente maschili hanno maggiori ambizioni. “La ricerca dimostra che inizialmente le ragazze sono allo stesso livello dei ragazzi in matematica. Durante la pubertà il loro rendimento però cala. Nelle ragazze che frequentano scuole femminili, il calo di rendimento è molto meno pronunciato. Questo sviluppo inizia quindi quando le ragazze nelle classi miste diventano consapevoli del loro ruolo e iniziano a vivere gli stereotipi femminili”.
Questo significa – chiede la giornalista del quotidiano – che occorrono più classi separate per sesso? “Sono assolutamente favorevole”, risponde l’intervistata. “Ragazze e ragazzi dovrebbero seguire lezioni separate in materie come matematica, fisica o informatica. È empiricamente provato che i risultati in queste materie migliorano quando le ragazze sono tra loro. In questo modo sarebbero anche più propense a studiare materie scientifiche. Ciò diventa ancora più importante con l’avvento dell’intelligenza artificiale. Le donne dovrebbero partecipare attivamente a questo cambiamento. Io stessa ho frequentato una scuola femminile e in seguito ho studiato ingegneria meccanica”. Prima di diventare professoressa di economia l’interessata ha infatti anche lavorato come ingegnere nell’industria tedesca.
“La ricerca è molto chiara: le ragazze evitano solo la competizione con i ragazzi, mentre tra di loro sono decisamente competitive. Questo atteggiamento continua anche in età adulta. Ciò è dovuto alla socializzazione. Alle donne non piace essere considerate poco femminili, quando vincono contro gli uomini. Se una donna ogni tanto usa i gomiti per avere successo non sarà amata dai suoi colleghi e, a volte, nemmeno dal suo uomo”. Riguardo a quest’ultimo aspetto: “Gli studi dimostrano che il tasso di separazioni è più elevato quando la donna guadagna più dell’uomo. Per le donne continua quindi ad essere rischioso competere con gli uomini. È davvero un peccato!”.
“Oggi, però, nelle procedure di selezione si aggiunge un ulteriore problema: esiste addirittura una discriminazione inversa, nei confronti degli uomini”, argomenta l’economista. “Gli studi dimostrano che oggi le donne nel mondo accademico hanno spesso maggiori possibilità di ottenere una cattedra rispetto agli uomini. Nelle procedure di nomina a professore vengono invitate più spesso degli uomini a tenere una lezione di prova davanti alla commissione di nomina. Uno studio tedesco mostra inoltre che le donne hanno ottenuto una cattedra in sociologia in modo preferenziale, nonostante le loro pubblicazioni fossero inferiori a quelle degli uomini”.
“La politica delle pari opportunità non era certamente sbagliata, ma avrebbe dovuto adeguarsi alla realtà dei fatti”, osserva. “Ad esempio, non è ragionevole richiedere una quota del 40% di donne tra i professori universitari in facoltà in cui le studentesse rappresentano solo il 10% degli iscritti”.
In Svizzera oggi le grandi aziende devono comunicare ufficialmente la loro quota di donne, è sbagliato? “La quota era necessaria affinché più donne potessero intraprendere una carriera professionale. Ma ora dobbiamo davvero smetterla. Dobbiamo adeguare gli obiettivi alla realtà”. Anche se è passato poco tempo dall’introduzione di questa normativa, è già abbastanza: “soprattutto perché molti giovani uomini si sentono penalizzati”.
“Anche la politica anti-woke negli Stati Uniti va vista in questo contesto. Oggi le donne sono più istruite degli uomini e vengono maggiormente incoraggiate. Gli uomini sono diventati il sesso debole”, sostiene Osterloh. Il presidente americano Donald “Trump ha saputo cogliere le paure di declino sociale degli uomini meno istruiti e restituire loro la loro mascolinità”, conclude.

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