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BNS: “La soglia per introdurre interessi negativi è alta”

il vicepresidente della direzione generale della BNS Antoine Martin
Il vicepresidente della direzione generale della BNS Antoine Martin. Keystone-SDA

La BNS esclude per ora il ritorno ai tassi negativi, ritenendoli una misura estrema dai potenziali effetti collaterali, mentre osserva con attenzione l’impatto dei dazi statunitensi e le sfide legate al rafforzamento del franco.

Per la Banca nazionale svizzera (BNS) la soglia da superare per passare agli interessi negativi è alta: è il messaggio lanciato mercoledì dal vicepresidente della direzione generale Antoine Martin.

“È importante sapere che il livello di requisiti per introdurre tassi negativi è più elevato rispetto a quello necessario per abbassare i tassi di interesse in territorio positivo”, afferma il 56enne in un’intervista pubblicata da L’Agefi. “L’esperienza passata ci insegna infatti che i tassi negativi hanno funzionato, ma comportano maggiori sfide per le banche, gli investitori e anche le famiglie, che assumono maggiori rischi. Questo fenomeno può avere effetti dannosi a lungo termine”.

Impatto ancora incerto dei dazi USA

Intanto la Svizzera deve fare i conti con i dazi statunitensi del 39% decisi dal presidente Donald Trump. “Per il momento stiamo monitorando attentamente la situazione e analizzando il potenziale impatto delle tariffe doganali sull’economia. L’effetto esatto rimane ancora incerto per diversi motivi. Nei dati del primo trimestre osserviamo forti variazioni dovute alle esportazioni anticipate prima dell’entrata in vigore delle misure. Stiamo anche cercando di capire quale sarà l’influsso dei dazi sulle catene di approvvigionamento”.

“Allo stato attuale non intravediamo rischi di deflazione e le nostre previsioni indicano un aumento dell’inflazione nei prossimi trimestri”, prosegue l’esperto con studi in economia a Losanna e dottorato all’Università del Minnesota (USA). “La dinamica dell’inflazione in Svizzera non dovrebbe subire perturbazioni significative a causa dei recenti movimenti del dollaro”.

Franco forte o dollaro debole?

Come evitare un ulteriore rafforzamento del franco? “Il problema è legato più al dollaro debole che al franco forte”, osserva il professionista con trascorsi anche alla Federal Reserve. “La valuta elvetica ha subito poche variazioni rispetto all’euro dall’inizio dell’anno. Va però sempre ricordato che, in termini reali e in una prospettiva di lungo termine, l’indebolimento del dollaro è stato meno marcato. La Svizzera ha un tasso di inflazione molto basso rispetto agli Stati Uniti e all’area dell’euro: il differenziale attuale è di circa 2 punti percentuali rispetto alla seconda e di 3 punti rispetto ai primi”.

Gli interventi sul mercato dei cambi – chiede il giornalista del periodico finanziario romando – sono diventati politicamente più difficili, visto il rischio che Trump accusi la Svizzera di manipolare la propria valuta e adotti misure di ritorsione? “Gli interventi possono essere necessari per l’adempimento del mandato della Banca nazionale di garantire la stabilità dei prezzi”, risponde lo specialista. “La BNS non manipola in alcun modo il franco. Non cerca né di impedire gli aggiustamenti della bilancia commerciale, né di aumentare indebitamente la competitività dell’economia elvetica”.

UBS sotto osservazione

In materia di grandi banche come UBS, le nuove misure proposte dal Consiglio federale per evitare che si ripeta un caso Credit Suisse sono “ragionevoli e necessarie”, prosegue il funzionario nominato alla vicepresidenza dal Consiglio federale con effetto al primo ottobre 2024. “Non c’è dubbio che le debolezze siano state individuate. L’obiettivo è quello di avere una banca sana, con un capitale rafforzato e margini di sicurezza più elevati, per far fronte alle vulnerabilità”.

Ma comunque UBS non è troppo grande? “Dal momento che l’istituto soddisfa i requisiti normativi, può avere le dimensioni che desidera in base al modello di affari che persegue”, risponde il co-presidente del gruppo consultivo regionale per l’Europa del Consiglio per la stabilità finanziaria (Financial Stability Board, FSB). “La normativa elvetica prevede requisiti patrimoniali più elevati in funzione delle dimensioni di una banca e finora l’integrazione del Credit Suisse è stata un successo”, aggiunge. “Ma è vero che le dimensioni di UBS sono un tema delicato che dobbiamo tenere in considerazione e che merita tutta la nostra attenzione. Sarà molto più difficile per la Confederazione assorbire i problemi di UBS, se dovesse averne in futuro”, conclude l’economista con origini vodesi.

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