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Lista Falciani: in tribunale è inutile

Keystone

Carlo Longari e Caterina Seminara

IL PRECEDENTE DELLA LISTA VADUZ

La questione sull’utilizzabilità probatoria di liste nominative di “evasori fiscali”, se così possono chiamarsi, ottenute a seguito di dichiarazioni di dipendenti “infedeli”, non è nuova: nel 2008, un caso analogo a quello della Lista Falciani era già stato posto all’attenzione del legislatore italiano. La cosiddetta Lista Vaduz, infatti, era stata acquisita illegittimamente dai servizi segreti tedeschi a seguito della sua consegna da parte del funzionario della banca Liechtenstein Global Trust (Lgt), Heinrich Kieber, il quale catalogò in un unico file i dati di centinaia di correntisti.

Così si è mosso anche Hervè Falciani che, approfittando del suo ruolo di archivista informatico della Hsbc Private Bank di Ginevra, ha compilato apposite schede di sintesi individuale (c.d. fiche) contenenti i dati anagrafici e l’ammontare di capitali a disposizione di ciascun correntista presso l’istituto di credito per il quale svolgeva la propria attività, vendendole poi alle autorità francesi.

La pubblicazione dei nominativi nella Lista Falciani, di cui oltre 700 risultano iscritti nel registro degli indagati solo nella procura di Roma, ha così messo in luce un’evasione fiscale pari a circa 180 miliardi di euro.

Il problema della utilizzabilità di tali “informazioni” non è però di agevole soluzione e infatti ha dato vita a contrastanti orientamenti.

Sul piano del diritto tributario, le commissioni tributarie provinciali di Genova, Pisa, Treviso e Verbania hanno ritenuto che le procedure internazionali di cooperazione tra le amministrazioni finanziarie siano tese a scambi di informazioni finalizzati a consentire un più facile esercizio della pretesa impositiva statale, tale da contrastare il fenomeno di un’ingente mobilità di capitali, non dichiarati agli effetti fiscali, idonea a incidere negativamente sulla stabilità economica nazionale. Dunque, avendo lo Stato italiano acquisito la documentazione a seguito della richiesta all’amministrazione fiscale francese nel pieno rispetto delle direttive comunitarie (in particolare, della direttiva 2011/16/UE) e della Convenzione Italia – Francia contro le doppie imposizioni, a nulla rileverebbe l’illecita provenienza di questa.

IL PRINCIPIO CHE FONDA LO STATO DI DIRITTO

È da notare tuttavia che proprio la Convenzione Italia – Francia, all’art. 27, par. 2, lett. b), prevede testualmente che le disposizioni sulla cooperazione amministrativa internazionale non possono in nessun caso essere interpretate nel senso di imporre a uno Stato “l’obbligo di fornire informazioni che non potrebbero essere ottenute in base alla propria legislazione o nel quadro della propria normale prassi amministrativa o di quella di un altro Stato”. In altri termini, lo Stato francese è tenuto a fornire soltanto informazioni legittimamente acquisite secondo quanto disposto dalla propria legislazione. Di conseguenza, la violazione di tale principio sarebbe idonea a influire negativamente sull’utilizzo delle stesse da parte dello Stato terzo ricevente.

È proprio su tale profilo che si fonda la soluzione accolta dai tribunali di Pinerolo e di Avellino, i quali, archiviando il procedimento, hanno altresì disposto la distruzione dei dati illegittimamente acquisiti. In senso analogo si sono espressi i tribunali di Como e di Milano, sulla scorta del fatto che l’acquisizione delle liste determinerebbe altresì una violazione del diritto alla riservatezza (art. 269 codice procedura penale) nonché alla proprietà (art. 263 codice procedura penale) del contribuente in assenza di reali esigenze di carattere processuale.

Anche la Court de Cassation di Parigi ha sancito l’assoluta inutilizzabilità della Lista: da ciò dovrebbe conseguire un principio, per così dire, di “illegittimità consequenziale”.

Né è da trascurare che la nostra Corte costituzionale (sez. III, 4 ottobre 2012, n. 38753), dichiarando l’inutilizzabilità probatoria dei dati bancari ottenuti illecitamente, ha risolto ogni dubbio circa la possibilità che la regolarità della procedura di trasmissione dei documenti in oggetto possa in qualche modo sanare l’illegittimità degli stessi.

Alla luce delle osservazioni svolte, è evidente come il giudizio di bilanciamento tra interessi statali e interessi privati sia stato risolto con la netta prevalenza di questi ultimi, in ossequio all’esigenza della legalità nell’acquisizione delle prove: principio, questo, che sta alla base dello Stato di diritto e non può consentire alcuna eccezione, anche quando si tratta della lotta all’evasione fiscale. Sotto questo profilo, l’art. 191 codice procedura penale è assolutamente univoco nello stabilire che prove acquisite contra legem – come lo sono i dati illegittimamente sottratti dal sistema informatico della banca – non possono essere utilizzate.

Sebbene l’onda emotiva della notizia spinga l’opinione pubblica a qualificare come eccessivamente garantista la normativa vigente, appare tuttavia impossibile piegare la stessa a qualsivoglia interpretazione possibilista: vicende come questa si riconducono a processi mediatici destinati a non trovare riscontro nelle sedi competenti

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