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Libia, “Dateci mezzi: solo noi possiamo fare qualcosa”

Così il capo di uno dei governi libici sul rapimento degli italiani e il traffico di esseri umani

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Di Francesca Mannocchi

Immagini Sirio Timossi

Il confine di Ras Ajdir congiunge il sud della Tunisia con la Libia: è lo stesso confine attraversato dai 4 cittadini italiani, dipendenti della Bonatti (general contractor per Eni), rapiti domenica scorsa, di notte, mentre rientravano nel paese.

Lo varchiamo dopo aver superato Ben Guerdane, ultima città tunisina, scenario – la settimana scorsa – di manifestazioni e scontri di piazza contro la costruzione del muro di protezione che il governo tunisino ha deciso di costruire per arginare l’arrivo di fondamentalisti.

E’ proprio il timore del dilagare di gruppi islamici estremisti, in quest’area sempre più delicata del Maghreb, a preoccupare l’intelligence che sta seguendo il rapimento dei 4 italiani.

La strada litoranea che parte da Ras Ajdir passa per Mellitah, centro nevralgico sia per affari italiani in Libia, sia per l’approviggionamento di gas in Europa.

E’ infatti da Mellitah che parte il gasdotto Greestream, il più lungo d’Europa, parte dalla costa libica che percorriamo, attraversa 500 chilometri di Mediterraneo e riemerge a Gela, in Sicilia.

La fiamma che svetta dal compound dell’Eni è il simbolo delle relazioni economiche che legano le due sponde del Mediterraneo, e dietro queste relazioni economiche si cela l’altro possibile scenario del rapimento di Fausto Piano, Gino Pollicardo, Filippo Calcagno e Salvatore Failla.

L’Eni, che da gennaio a maggio 2015 ha aumentato del 37% la propria capacità produttiva, è rimasta praticamente sola ad assolvere – attraverso le relazioni economiche – anche una funzione diplomatica, dopo che nel febbraio dello scorso anno l’Ambasciata Italiana, che fino ad allora era rimasta l’ultima ambasciata europea in Libia, ha deciso di ritirare tutti i suoi addetti e rientrare in Italia via traghetto.

Che a rapire i quatto uomini siano stati banditi comuni, o un gruppo più organizzato che voglia fare pressione politica sull’Italia, il governo di Tripoli – non riconosciuto dalla comunità internazionale – deve ora arginare ora situazione molto delicata. E farlo prima che i 4 italiani finiscano in mani ancora più pericolose.

Sono quindi ore difficili a Tripoli, quando incontro il primo ministro Khalifa al Ghweil, il capo di uno di due governi in lotta per il potere attualmente in Libia.

Il rapimento dei 4 italiani, nei pressi di Mellitah, 120 km da Tripoli, risale solo a pochi giorni fa. Il Primo Ministro al Ghweil mi riceve quando il sole è ormai tramontato, a giornata finita. Dopo l’ennesima riunione. Ha il volto teso di chi deve affrontare molte indiscrezioni e nessuna certezza su un caso delicato anche dal punto di vista diplomatico.

Come saprà, domenica sera sono stati rapiti quattro italiani nella zona di Mellitah, ci sono molte ipotesi in campo, lei che notizie ha?

“La nostra intelligence sta lavorando alacremente. Sappiamo che hanno percorso la strada Atuila che passa da Sabrata, e che sarebbero stati rapiti nei pressi di questa città.

Escludiamo con decisione che siano stati rapiti da gruppi di trafficanti di uomini e chiediamo che il governo italiano collabori con noi più di quanto sta facendo.

Da capo del governo di Tripoli, il governo di Salvezza Nazionale, devo dire che la riluttanza dei paesi occidentali e nello specifico dell’Italia, che condivide con noi la piaga del traffico di uomini, non aiuta a risolvere il problema, e anzi fa sì che – senza contomisure efficaci- i criminali trovino un ambiente favorevole per espandersi e ingrandirsi. “

Si spieghi meglio.

“Noi non abbiamo mezzi. L’Europa e l’Italia – che è il primo paese dopo di noi interessato al problema del traffico di uomini – non ci danno mezzi.

Invito i governi a venire qui, vengano a parlare con noi e a visitarci, a capire i nostri problemi, così capiranno che devono collaborare con noi e non con l’altro governo di Torbuk.

Solo collaborare con noi aiuterebbe a garantire sicurezza.

Ho sentito dire da Bruxelles che l’Europa è disposta a dare aiuto alla Tunisia per contrastare il traffico di clandestini, bene, ne abbiamo bisogno anche noi in Libia e l’unico governo che può fare da interlocutore è il mio. “

Il governo di Khalifa al Gwheil è il solo che ha rifiutato di firmare gli accordi per un governo libico di unità nazionale tre settimane fa in Marocco, sotto l’egida dell’inviato dell’Onu Bernardino Léon.

Il rapimento dei 4 italiani potrebbe essere un cruciale banco di prova anche per l’equilibrio delle trattative per portare pace in un paese ormai da un anno diviso a metà.

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