Raccolta elettronica delle firme, una vitamina digitale per la democrazia italiana

Negli ultimi quattro anni, l'Italia ha assistito a un'esplosione di partecipazione civica, con oltre 100 iniziative popolari e referendum legislativi lanciati a livello nazionale. Una delle ragioni principali di questa rinascita è l'introduzione dell'identità digitale (SPID) e di una piattaforma statale per la raccolta delle firme elettroniche. Nonostante questi progressi, persistono però ancora ostacoli significativi.
In passato, chiunque volesse promuovere un’iniziativa popolare o un referendum in Italia doveva affrontare un percorso arduo. Non bastava una solida organizzazione con numerosi volontari, era necessario anche un cospicuo investimento economico.
“Ogni singola firma doveva essere autenticata da un notaio e poi certificata ufficialmente dall’autorità locale”, ricorda Riccardo Fraccaro, avvocato di 44 anni, che tra il 2018 e il 2019 ha ricoperto il ruolo di primo e unico ministro al mondo per la democrazia diretta nel gabinetto del premier Giuseppe Conte. Durante il suo mandato, Fraccaro si è impegnato per smantellare le barriere che limitavano i diritti di partecipazione dei cittadini e delle cittadine.

Nonostante le difficoltà burocratiche, l’Italia, insieme a Svizzera e Liechtenstein, è storicamente uno dei Paesi europei che fa più uso degli strumenti di democrazia diretta. Negli ultimi 50 anni, si sono tenuti 88 referendum nazionali attivati dalla raccolta di firme. Secondo Fraccaro, molti degli ostacoli attuali, come i quorum, furono inseriti dai padri costituenti nella carta fondamentale “sotto l’influenza della dittatura fascista e della Seconda guerra mondiale”, con lo scopo di proteggere la neonata repubblica da possibili derive antidemocratiche.
Anche in Svizzera, Paese con una radicata tradizione di democrazia diretta, si discute da anni dell’introduzione di un’identità digitale (e-ID) e della raccolta firme elettronica. Un primo tentativo nel 2021 fu respinto dal 64,45% dei e delle votanti a causa di preoccupazioni sulla privacy. Ora, una nuova proposta, che affida l’emissione dell’e-ID unicamente a enti statali come in Italia, sarà votata a breve (28 settembre 2025).
L’e-ID è vista come la chiave non solo per il voto elettronico, ma anche per digitalizzare la raccolta firme, una necessità resa più urgente da recenti scandali di falsificazione. Il Parlamento svizzero ha già approvato diverse mozioni per consentire la raccolta digitale a partire dal 2026.
Dal 2021, la democrazia diretta in Italia sta vivendo una nuova età dell’oro, con oltre 100 proposte referendarie e iniziative popolari. I temi sono tra i più vari: dalla legalizzazione della cannabis all’abolizione della caccia, dal matrimonio egualitario alla riorganizzazione del federalismo, fino a misure per promuovere la pace in Ucraina e Medio Oriente.
“Abbiamo notato un coinvolgimento crescente da parte di gruppi tradizionalmente più distanti dalla politica, come i giovani e gli immigrati”, afferma Lorenzo Cabulliese, storico e direttore del think tank “Gaetano Salvemini” di Torino. Cabulliese analizza da anni l’evoluzione degli strumenti partecipativi in Italia e in Europa, confermando un rinnovato interesse per la politica attiva.

Secondo Cabulliese, tre fattori chiave hanno innescato questa dinamica positiva. In primo luogo, un richiamo del Comitato per i Diritti Umani delle Nazioni Unite nel 2019 ha spinto l’Italia a ridurre gli ostacoli burocratici. Successivamente, nel 2021, il Parlamento ha approvato l’introduzione della raccolta firme elettronica, culminata nel 2024 con l’apertura di una piattaforma statale gratuita per la raccolta delle firme.
“Questo significa che tutti i cittadini con diritto di voto hanno ora un accesso più semplice a questi diritti fondamentali”, spiega Cabulliese. Un prerequisito essenziale per questa rivoluzione è stato lo SPIDCollegamento esterno (Sistema Pubblico di Identità Digitale), introdotto già nel 2015 e continuamente perfezionato, che garantisce un accesso equo e universale ai diritti politici, anche per le persone con disabilità.
Questa iniezione di vitalità digitale non ha solo rinvigorito la democrazia, ma ha anche riacceso il dibattito pubblico sulle sue regole. “Le condizioni quadro della nostra democrazia sono cambiate profondamente dall’entrata in vigore della Costituzione”, sottolinea Oskar Peterlini, docente di diritto costituzionale alla Libera Università di Bolzano.
Peterlini ricorda che al referendum del 1946 per l’abolizione della monarchia partecipò quasi il 90% dell’elettorato. Per garantire la validità delle consultazioni future, fu introdotto un quorum di partecipazione del 50% più uno. “Oggi, però, questa norma viene sfruttata dagli oppositori di una proposta, che invitano al boicottaggio per far fallire il referendum”, osserva Peterlini.

Altri sviluppi
Il voto referendario è un avvertimento per la sinistra italiana
Un esempio recente si è avuto a metà giugno, quando i primi referendum realizzati con firme elettroniche hanno fallito l’obiettivo. Nonostante le cinque proposte su lavoro e cittadinanza abbiano ottenuto una netta maggioranza di “sì”, non hanno raggiunto il quorum del 50%. La stessa Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha contribuito a questo esito astenendosi platealmente dal voto, un gesto che ha di fatto scoraggiato la partecipazione.

In risposta alla mossa della premier, i promotori dei diritti civili hanno lanciato immediatamente un’iniziativa popolare online per abolire il quorum di partecipazioneCollegamento esterno. In appena un giorno, hanno raccolto un numero di firme ben superiore alle 50’000 necessarie. Tuttavia, il suo successo è incerto: a differenza dei referendum, un’iniziativa popolare può essere facilmente insabbiata in commissione parlamentare senza un vero dibattito, sottolinea lo storico Cabulliese.
Proposta di compromesso: “Dimezzare il quorum, raddoppiare il numero di firme”
Una possibile via d’uscita potrebbe essere un compromesso, come suggerisce Oskar Peterlini, ex senatore del Partito Popolare Sudtirolese (Südtiroler Volkspartei). La sua proposta consiste nel “dimezzare il quorum, ma raddoppiare le firme necessarie”. Un referendum sarebbe quindi valido con un’affluenza del 25% (e non come oggi del 50%), ma richiederebbe un milione di firme anziché 500’000. Questa soglia rappresenterebbe circa il 2% degli elettori, una percentuale simile a quella richiesta in Svizzera per le iniziative popolari.
Editiert von Mark Livingston
Tradotto dal tedesco da Riccardo Franciolli

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