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Il cardinale Becciu chiama in causa il Papa

Il cardinale Giovanni Angelo Becciu
Un amico della famiglia Becciu - ha riferito in aula il promotore di giustizia Diddi - scrive anche che al Papa "bisognerebbe dare un colpo in testa". Copyright 2022 The Associated Press. All Rights Reserved

"Vuole la mia morte", "non pensavo arrivasse a questo punto": così il cardinale Giovanni Angelo Becciu, imputato in Vaticano nel processo sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato, parla di papa Francesco in una chat con amici e familiari.

L’esistenza e parte dei contenuti delle chat sono stati resi noti venerdì in aula dal promotore di giustizia Alessandro Diddi e sono il frutto di un’indagine della Guardia di Finanza di Oristano sulla Cooperativa Spes di Ozieri, su rogatoria del Vaticano. Il nuovo fascicolo aperto dalla magistratura vaticana è per un’ipotesi di associazione a delinquere, reato per il quale Becciu è indagato insieme ad altre persone. “Non pensavo arrivasse a questo punto: vuole la mia morte”, scrive Becciu in un messaggio a una familiare, Giovanna Pani, il 22 luglio dello scorso anno, due giorni prima che, con l’aiuto della figlia di questa e nipote di Becciu, Maria Luisa Zambrano, registrasse una telefonata con papa Bergoglio, fatta sentire ieri a porte chiuse durante l’udienza al Tribunale vaticano.

Nella chat la donna invita il cardinale ad avere coraggio, “vedrai che la verità trionferà”. E lui: “Per ora sono loro a trionfare e trafiggerci!”, “Ma la vittoria sarà degli onesti”. Pani, di nuovo, scrive a Becciu: “È cattivo, vuole la tua fine”, riferendosi a “su Mannu”, che in sardo significa “il maggiore” e dunque riferibile al Pontefice. Il cardinale risponde: “Non vuole fare brutta figura per la condanna iniziale che mi ha dato”. E ancora: “Mai avrei immaginato (che) non un Papa ma (che) un uomo arrivasse a tanto”. Pani allora gli risponde: “È un grande vigliacco, ma tu combatti e fai risplendere la verità, è dura lo so, coraggio vinceremo in pieno”, “c’è del marcio in Vaticano”.

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In una delle chat, un amico della famiglia Becciu – ha riferito in aula Diddi – scrive anche che al Papa “bisognerebbe dare un colpo in testa”. La documentazione esito della rogatoria, trasmessa in Vaticano dalla Procura presso il Tribunale di Sassari, oltre che nel nuovo fascicolo d’indagine è finita per la sua rilevanza anche negli atti del processo attualmente in corso, giunto oggi alla 38/a udienza con la continuazione dell’interrogatorio del testimone d’accusa mons. Alberto Perlasca, ex capo dell’Ufficio amministrativo.

Le dichiarazioni di Perlasca

“Il cardinale Becciumi ha fatto fare le cose per le quali è imputato in questo processo. Io non sono né complice, né connivente, né favoreggiatore. La mia posizione è stata archiviata: io sono qui perché altri mi hanno portato qui”, ha detto Perlasca in un momento di sfogo durante il controesame da parte delle difese, che continuerà ancora il 30 novembre. Ieri tuttavia, il monsignore aveva rifiutato l’etichetta di testimone-chiave: “Ma quale grande accusatore! Io non ho accusato assolutamente nessuno, le cose le sapevano già tutti”.

Sul punto dei presunti favoritismi a familiari di Becciu, sempre Perlasca ha detto che sapeva solo di “dover versare quei soldi alla Caritas di Ozieri, e così ho fatto”. Rispetto ad altri contributi che a Natale e a Pasqua la Segreteria di Stato inviava a organizzazioni benefiche, ma per importi da 10 a 30 mila euro, non di più, quelli alla Spes di Ozieri “erano totalmente fuori sacco, niente a che fare con Natale e Pasqua”.

E il ben maggior bonifico di 100 mila euro ordinato da Becciu, affinché non aprisse la strada a controlli della Finanza l’Ufficio suggerì di spezzarlo in due da 50 mila euro ciascuno. Ma il cardinale disse no. “Ci disse: facciamo così, mandiamolo tramite lo Ior come contributo della carità del Papa. Senza però dirci se aveva l’autorizzazione del Santo Padre”, ha riferito Perlasca.

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