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Decapitato il clan Senese che riciclava a Ginevra

Uomini e mezzi della Guardia di finanza davanti a una delle case perquisite.
L’operazione della Guardia di Finanza e della Squadra Mobile ha decapitato il clan e portato al sequestro preventivo di beni e aziende per 15 milioni di euro. Guardia di Finanza

Scacco matto al clan Senese, il gruppo criminale di stampo camorristico che da decenni operava nella Capitale. Ventotto misure cautelari, di cui 16 in carcere, hanno, di fatto, decapitato l'organizzazione criminale guidata da Michele Senese, detto "o' pazz", boss indiscusso.

Fiduciarie svizzere, tonnellate di cocaina e milioni di euro da ripulire. A muovere i fili è Michele Senese (dal carcere) che ha messo in piedi una holding del crimine con il quartier generale a Roma e una rete di interessi distribuiti tra Milano, Verona, Napoli e Ginevra. Perché è da un elegante palazzo di rue Ferdinand Hodler, dove hanno sede la Sofirege SA e la Silver Square SA, che si smista il bottino.

Lì c’è la lavatrice che custodisce i soldi sporchi, li restituisce senza che possano essere tracciati e li fa fruttare. Ristoranti, caseifici, automobili, merci griffate dai giubbotti della Colmar ai vestiti Dsquared (brand estranei all’inchiesta ndr). Una strategia manageriale, progettata nel dettaglio per ottenere il massimo guadagno. Diversificano e investono e il risultato è un assalto all’economia legale con un fiume di denaro frutto di estorsioni, usura e traffico di droga che dalla Svizzera ritorna soprattutto nel Nord Italia attraverso prestanome.

Indagini e arresti

A svelarlo è l’indagine della Direzione distrettuale antimafia di Roma svolta dal nucleo della polizia valutaria della Guardia di Finanza e dalla Squadra Mobile. Un’operazione che ha decapitato il clan e portato al sequestro preventivo di beni e aziende per 15 milioni di euro.

Le società elvetiche sono di Tonino Leone, un piccolo imprenditore italiano. A gestire i soldi, secondo le accuse, Antonio Sorrentino e Giancarlo Vestiti. Impartiscono ordini, spediscono documenti da firmare, smuovono milioni di euro che devono garantire un ritorno, perché il rischio d’impresa non è contemplato: se prestano capitali, il tasso d’interesse è quasi del 50% annuo.

Gente affidabile tanto che il primogenito di Senese lo comunica euforico al padre chiuso in cella: “c’hanno una persona in Svizzera grossa…non vede l’ora che tu esci”. Ma se i quattrini finiscono alle persone sbagliate il boss sa farsi rispettare: “gli devi dire: può essere che tra due anni sta già in permesso”. È sufficiente paventare l’idea di una scarcerazione per scatenare il terrore.

Il Boss Senese detto ‘o pazzo

Senese è un pezzo da novanta della camorra, già referente dei Moccia di Afragola e uomo di fiducia del grande capo Carmine Alfieri. È lui a spedirlo a Roma negli anni Ottanta e Senese, in quella Capitale terra fertile per investire, riciclare e trafficare, riesce a imporsi.

Crea una mafia ibrida, contamina la camorra con la realtà romana, fa fortuna con la droga e il gioco d’azzardo e riesce persino a schivare spesso il carcere. Schizofrenico, paranoico, denuncia le guardie di volerlo avvelenare, racconta di essersi risvegliato, di saper parlare tedesco e accumula perizie che evidenziano presunti disturbi psichiatrici, utili per scontare gli arresti con tutti i confort. È così che si guadagna il soprannome di ‘o pazzo e intanto diventa un punto di riferimento nei circuiti criminali.

Tesse accordi con esponenti storici della banda della Magliana, con i Casamonica, con Franco Gambacurta e con Massimo Carminati, il re nero di quella “mafia capitale” che ora non lo è più, cancellata da un verdetto della Cassazione che ha ridotto tutto a una storia di corruzione ed estorsioni. Intreccia alleanze e diventa uno snodo indispensabile nei rapporti camorristici sull’asse campano-laziale con influenze anche su quello siciliano e calabrese.

Re di Roma

Nella Capitale non c’è grammo di hashish e cocaina che passi senza la sua benedizione. La droga gli arriva dalla Spagna, dalla Turchia. “Ogni viaggio erano 30-40 chili di cocaina e 500-1000 chili di hashish” rivela un collaboratore. Roma è affamata di cocaina, è il posto perfetto dove arricchirsi e riciclare e Senese fa affari con tutti. In una discussione con i fedelissimi spunta anche il nome di Fabrizio Piscitelli.

Il Diabolik capo ultras e narcotrafficante, finito ammazzato con un colpo di pistola alla testa, in pieno giorno nell’agosto dello scorso anno proprio nel feudo dei Senese. Era cresciuto sotto l’ala protettiva di ‘o pazzo e con una batteria di picchiatori albanesi gestiva lo spaccio tra i lucchetti dell’amore di Ponte Milvio per conto dei ‘napoletani’.

Tutti insieme allo stadio a farsi immortalare con la maglia della Lazio perché ‘Noi siamo leggenda’, con la falange di picchiatori fascio criminali pronti a inneggiare Mussolini. Piscitelli  è sveglio e in pochi anni scala la classifica del narcotraffico, basti considerare che tra il febbraio e il novembre del 2018 il suo gruppo ha movimentato 250 chili di cocaina e 4.250 chili di hashish, valore al dettaglio 120 milioni di euro. Solo che quando diventi troppo potente, quando cominci a sentirti il re di Roma, diventi un bersaglio. Di certo il ‘Lazialotto’, come lo chiama con disprezzo Vincenzo, il primogenito di Senese, per la famiglia di camorra è fuori. Con lui non vogliono concludere alcun affare.

Il figlio Vincenzo Senese

Vincenzo ha un ruolo centrale per il clan, è lui a portare avanti la strategia del padre che da dietro alle sbarre continua a comandare. ‘O pazzo è finito in regime di alta sicurezza, senza più perizie favorevoli, dopo l’ultimo omicidio accertato: ha incaricato una batteria di killer di regolare i conti e vendicare il fratello ucciso a Roma nel 1997.

Il figlio lo va a trovare regolarmente e hanno escogitato un modo efficace per comunicare: lo scambio di scarpe. Eccolo entrare con ai piedi calzature marroni ed uscire con quelle nere del padre. Dentro ci sono i pizzini. Per gli inquirenti il boss “controlla tutte le iniziative portate avanti dai familiari”, tanto che il figlio fa sapere: “vai là, dici che papà sa tutto, glielo hanno mandato a dire, sta come un pazzo”. È sufficiente pronunciare il nome per intimorire e quando è necessario arrivano anche le minacce di morte, come è accaduto a un imprenditore romano che si occupa di autonoleggio e produzione di film.

È strozzato dall’usura, ma oltre alla restituzione del debito con interessi da capogiro, pretendono da lui altri 15mila euro in ricariche tramite postepay e money transfer, pagamenti di viaggio e auto. Serviti come i re, pasteggiano con Franciacorta e gamberi rossi senza pagare, trascorrono le vacanze in resort di lusso da cinque mila euro a settimana, e sono temuti dagli avversari che gli conferiscono lo scettro: “è il capo di Roma! Il boss della camorra romana! Comanda tutto lui!” svela un esponente della mala.

Roma centro nevralgico per allungare i tentacoli di un sistema illecito consolidato nel tempo e che, come sottolinea la gip Annalisa Marzano, “diviene ancora più attuale e allarmante in questa fase di grave crisi di liquidità degli operatori economici che potrebbero ricorrere, in maniera sempre più ambia e diffusa ai prestiti erogati dalla criminalità organizzata”.



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