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Tasse frontalieri, nuove iniziative di Bellinzona

Veicoli incolonnati al valico di Ponte Chiasso.
Bellinzona cerca di muovere le acque su un dossier che non gode di particolari favori a Roma. Keystone / Karl Mathis

Visita di due giorni a Roma per il presidente del parlamento ticinese Claudio Franscella, nel corso della quale il politico locarnese ha incontrato esponenti della commissione affari esteri del Senato.


Al centro della discussione, svoltasi come di consueto nella massima cordialità, c’era l’accordo sulla fiscalità dei frontalieri che sta tanto a cuore alla Svizzera italiana ma che nei palazzi romani non gode di particolari sostegni. Ma su questa intricata vicenda forse qualcosa incomincia a muoversi.

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Gli antefatti sono noti: l’intesa raggiunta tra le delegazioni tecniche dei due paesi nel dicembre del 2015 porrebbe fine all’imposizione esclusiva della Confederazione su questa categoria di lavoratori che, in virtù delle nuove norme, dovrebbero essere tassati anche dall’Agenzia delle entrate in base alle aliquote Irpef vigenti nel Belpaese.

Il governo italiano nicchia

Ma Roma tarda a sottoscrivere questo accordo che comporta, soprattutto per i redditi più alti, un inevitabile aggravio fiscale per i frontalieri mentre a Bellinzona si preme per la sua rapida attuazione, che dovrebbe rendere meno attrattivo il mercato del lavoro ticinese per i pendolari lombardi e piemontesi.

“Non è più possibile lasciare in vigore l’accordo del 1974 quando i frontalieri (in Ticino, ndr) erano 5’000 mentre ora sono più di 67’000”, ha sostenuto il primo cittadino ticinese per il quale i costi, soprattutto nell’ambito della mobilità, e gli effetti distorsivi sul mercato del lavoro di questa situazione costituiscono un grosso problema per il cantone sudalpino. “Se occorrono modifiche all’intesa parafata nel 2015 ne possiamo parlare”, ha aggiunto Claudio Franscella.

Da parte dei senatori italiani, la maggior parte dei quali non conoscevano questa tematica “insubrica”, hanno prestato attenzione alle rivendicazioni ticinesi e, per bocca del presidente della commissione senatoriale, Vito Petrocelli, hanno promesso di intercedere presso il governo italiano.

Disdire l’accordo del 1974?

Ma un’accelerazione ulteriore potrebbe arrivare anche dalla possibile presentazione di un atto parlamentare su cui i senatori discuteranno prossimamente. Intanto però il Ticino non vuole starsene con le mani in mano. È di giovedì la notizia secondo cui le autorità cantonali hanno commissionato uno studio all’Università di Lucerna per verificare l’ipotesi di una revoca unilaterale dal vecchio accordo sui frontalieri del 1974.

In particolare Bellinzona vuole capire quali sarebbero i contraccolpi negativi di una disdetta delle norme vigenti, in base alle quali oggi il Ticino versa oltre 80 milioni di franchi all’anno, via Roma, ai comuni italiani di frontiera e garantisce una tassazione leggera alla manodopera pendolare. Le conclusioni dell’approfondimento dovrebbero essere comunicate entro la prossima estate. A quel punto Bellinzona potrà riflettere sull’eventualità di adottare un potente strumento di pressione sulla politica italiana.  

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