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Gestione dell’orso, tra pragmatismo e ideologia

orso su un albero
Nella capitale svizzera Berna gli orsi sono di casa, ma in un apposito parco. Keystone / Peter Klaunzer

Nel 2008 JJ3, fratello dell'orsa che in Trentino ha ucciso il giovane podista, fu abbattuto in Svizzera dopo che tutte le azioni di dissuasione si erano rivelate inutili. Convergenze e divergenze nella gestione dell'orso in Svizzera e in Italia.

“Quando le autorità federali e cantonali decisero per l’abbattimento di JJ3, dovetti riconoscere che anche sul piano scientifico era la scelta giusta: l’orso non si era dimostrato pericoloso per l’uomo ma per anni aveva aggredito greggi e arnie, entrava in malghe e giardini e non potevamo escludere un incidente: la tolleranza della popolazione locale aveva raggiunto il punto minimo possibile”.

A parlare è Paolo Molinari, zoologo della Fondazione KORACollegamento esterno, che tra il 2007 e il 2008 fu chiamato nei Grigioni centrali, tra Lenzerheide e la Valle dell’Albula, proprio per studiare il comportamento di JJ3, organizzare le operazioni di dissuasione dagli ambienti antropizzati e coordinare la formazione dei guardacaccia locali.

Legami di sangue

JJ3 era il fratello di JJ4, l’orsa che a Caldes, in Trentino, ha aggredito e ucciso il giovane podista Andrea Papi, un fatto che ha riportato la questione della gestione faunistica dell’orso al centro del dibattito pubblico nei Paesi dell’arco alpino.

orso imbalsamato
JJ3, fratello dell’orsa che in Trentino ha ucciso un podista, dopo essere stato abbattuto è stato imbalsamato ed esposto al Museo di storia naturale di Coira, nei Grigioni. Keystone / Ennio Leanza

In Italia la vicenda — la prima aggressione mortale di un orso mai avvenuta nel Paese — è diventata anche un caso politico, che vede da un lato la linea dura della Provincia autonoma di Trento, decisa a dimezzare il numero di esemplari di orso (oggi sono un centinaio), dall’altra l’opposizione altrettanto dura delle associazioni animaliste e ambientaliste, mentre il Governo rimane attendista e non prende una posizione chiara.

Il legame di sangue tra JJ3 e JJ4 è importante per spiegare due cose: innanzitutto che quando in Svizzera si parla di orso c’entra sempre il Trentino. JJ3 era arrivato da lì, così come l’altro fratello JJ2, soprannominato Lumpaz, che nel 2005 spuntò sul Passo del Forno, nei pressi di Zernez, e fu il primo plantigrado osservato sul territorio elvetico 101 anni dopo l’abbattimento dell’ultimo esemplare autoctono.

L’altro motivo è che la vicenda di JJ3 servì da impulso per la nascita della piattaforma Wiso (Large Carnivores, Wild Ungulates and Society), istituita nell’ambito della Convenzioni delle Alpi e incentrata su incontri periodici nei quali si scambiano informazioni sui grandi carnivori e si discutono possibili misure di gestione tenendo conto delle diverse politiche dei Paesi alpini.

Collaborazione transfrontaliera

Il mandato di Wiso prevede il monitoraggio genetico e della mobilità transfrontaliera di orsi, lupi, linci e stambecchi.

“I risultati sono stati buoni e nel prossimo biennio Wiso si concentrerà sull’aspetto sociale della gestione dei grandi carnivori, per individuare i principi per la coesistenza dell’uomo con le specie protette secondo un approccio multidisciplinare”, spiega Piero Genovesi, responsabile del Servizio per il coordinamento della fauna selvatica di Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale).

Nell’ambito della Convenzione delle Alpi, la collaborazione tra Italia e Svizzera sulla gestione dell’orso è iniziata a partire dalla vicenda di JJ3, ma si è intensificata una volta appurato che la grande maggioranza degli orsi arrivati nei Grigioni centro-orientali proveniva (e proviene) dal Trentino. Forse gli orsi vi hanno trovato un habitat familiare, forse una serie di corridoi faunistici naturali favoriscono la migrazione verso nord-ovest, o entrambe le cose.

Ad oggi il passaggio di orsi in Svizzera provenienti dal Trentino può quantificarsi in circa cinque esemplari all’anno, quasi tutti nei Grigioni. In rari casi si sono spinti fino al Cantone San Gallo e Vallese.

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“Sono i maschi a migrare, spesso puntano alla Svizzera e succederà anche nei prossimi anni — spiega Claudio Groff, responsabile del settore Grandi Carnivori del servizio faunistico della Provincia autonoma di Trento — e anche per questo c’è una collaborazione tecnica attiva con formazione del personale: in Trentino i guardacaccia svizzeri hanno partecipato alle attività di monitoraggio del comportamento degli orsi, che viene fatta attraverso il radiocollare o con le analisi genetiche sui peli o escrementi raccolti nei boschi, ma anche con le strategie di prevenzione dei danni alle greggi o sulle arnie, soprattutto perché in Svizzera non c’è una popolazione vitale di orsi e le occasioni per esercitarsi sono poche”.

Convergenze e divergenze

La collaborazione è favorita anche dal fatto che il “Pacobace” e la “Strategia Orso”, i rispettivi piani di gestione dell’orso bruno in Italia e in Svizzera, hanno premesse, modalità e finalità molto simili. Entrambi partono dal fatto che l’orso è una specie protetta dalla legge (in Svizzera la Convenzione di Berna del 1979 e la legge federale sulla caccia del 1986), che va tutelata la sua conservazione ma che al contempo la sicurezza dell’uomo deve avere la priorità rispetto alla protezione dell’orso.

La “Strategia Orso”, nello specifico, “crea le premesse necessarie affinché gli orsi arrivati spontaneamente in Svizzera possano vivere e riprodursi”, “prepara la popolazione locale e i responsabili del turismo a una convivenza pacifica con l’orso”; “riduce al minimo i conflitti con l’agricoltura attraverso la prevenzione, l’accertamento e il risarcimento dei danni”; “definisce la gestione e l’abbattimento degli orsi pericolosi per l’uomo”.

Anche nella classificazione degli orsi (“discreto”, “problematico” e “pericoloso”) le definizioni italiane e svizzere convergono, ma è sull’ultimo punto, su come agire quando ci sono le condizioni per l’abbattimento, che cambia l’approccio. E lo si è visto anche nel caso di JJ4, con il Tar (Tribunale amministrativo regionale) che con tre sentenze ha bloccato l’ordinanza di abbattimento della Provincia di Trento. Una di queste fu firmata nel 2020, tre anni prima della morte di Papi.

“Con JJ3 applicammo per un anno tutte le misure di dissuasione previste dal piano, dai pallettoni di gomma ai cani anti-orso, fino ai recinti elettrificati, ma il suo comportamento non cambiava e siccome gli svizzeri sono pragmatici — sottolinea Paolo Molinari — le autorità diedero l’ok all’abbattimento, poi eseguito in pochi giorni”.

“Hanno abbattuto quei due orsi (l’altro è M13, nel 2013) prima che aggredissero qualcuno, un efficace esempio di gestione faunistica che dà priorità alla sicurezza delle persone — conferma Claudio Groff — mentre in Italia c’è un approccio più ideologico, anche delle Istituzioni, e più superficiale dal punto di vista tecnico”.

Certezze comuni

Pur avendo esperienze molto diverse sulla gestione dell’orso, Italia e Svizzera — anche grazie a una collaborazione quasi ventennale — sono approdate alle stesse certezze sulla strada da seguire per la conservazione della specie, al fine di tutelare la biodiversità nell’arco alpino.

Il coinvolgimento di portatori di interesse come cacciatori, agricoltori e comunità locali è fondamentale per una corretta gestione faunistica. Il rischio che gli orsi sviluppino comportamenti problematici è assai più basso se c’è un adeguato smaltimento dei rifiuti e una migliore protezione delle arnie e degli animali da reddito. L’informazione alla popolazione sui comportamenti da tenere nei boschi abitati dagli orsi deve essere costante, frequente e aggiornata, anche in base alle esperienze di incontri e avvistamenti. Gli abbattimenti degli esemplari pericolosi sono fondamentali non solo per la tutela della sicurezza pubblica, ma anche per la sopravvivenza della specie orso in una determinata area.

In Svizzera sarebbe possibile l’avvio di un progetto come “Life Ursus”, che tra il 1999 e il 2004 reintrodusse la specie in Trentino quando rischiava l’estinzione? “Non manca chi sogna qualcosa del genere — precisa Paolo Molinari —ma escludo che le autorità pubbliche cantonali e federali possano mai autorizzarlo: la convivenza con l’orso può rivelarsi molto difficile e lo Stato non si sottopone volontariamente a un rischio del genere”.


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