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Quando il Ticino era una piccola Amsterdam

Poliziotto in una serra di marijuana nel 2003.
Keystone / Karl Mathis

Sono passati esattamente 20 anni dall'operazione Indoor, che smantellò le coltivazioni di canapa in Ticino. Il podcast "Quegli stupefacenti anni zero" ripercorre in cinque episodi quel periodo storico.

C’erano un imprenditore toscano, un floricoltore locarnese e il procuratore pubblico ticinese. Non è l’inizio di una barzelletta. Sono alcuni dei personaggi chiave che hanno segnato il periodo, a cavallo del millennio, in cui il cantone Ticino era diventato mercato e meta di pellegrinaggi stupefacenti. 

Poi, esattamente vent’anni fa, è arrivata l’operazione di polizia e magistratura denominata Indoor, che ha segnato la fine della vendita libera di marijuana in un territorio in cui le piantagioni di canapa avevano in pochissimo tempo soppiantato pomodori e zucchine. 

Il vuoto legislativo da cui nacque tutto

Tutto iniziò una manciata di anni prima, quando si scoprì che una lacuna legislativa consentiva in Svizzera la coltivazione e la vendita di canapa, purché questa non fosse finalizzata a scopo di consumo.

Ecco quindi che, con la scusa di vendere sacchettini per profumare gli armadi, decine e decine di “canapai” sorsero come funghi in tutto il territorio ticinese. Moltissimi i compratori d’oltre frontiera, tanto che alcuni negozi fissavano il prezzo direttamente in lire e poi, dal 2002, in euro.

A ripercorrere questo folle quinquennio – ricordando com’era la società locale dell’epoca, ma analizzando anche la situazione con il distacco del tempo – è arrivato il podcast “Quegli stupefacenti anni zero”Collegamento esterno.

Il progetto, nato dall’idea del regista e autore luganese Olmo Cerri, classe 1984, è stato prodotto dalla Radiotelevisione Svizzera (RSI), con il sostegno della Fondazione per la Radio e la Cultura e dell’Associazione REC.

L’esperienza personale

Le cinque puntate partono dall’esperienza personale dell’autore, che in quel periodo era adolescente, e dal fascino che la canapa suscitava in lui e nei suoi amici. “Ho l’impressione che allora ci fosse scarsissima consapevolezza di cosa stesse succedendo, soprattutto all’inizio”, racconta Cerri che ricorda i molti discorsi sulla liberalizzazione delle droghe leggere attuali a quel tempo.

Olmo Cerri.
Olmo Cerri. / Ricardo Torres

Olmo Cerri è nato nel 1984 a Sorengo, Svizzera. Dal 2005 al 2008 ha frequentato la SUSPI (Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana) e dal 2009 al 2012 il CISA (Conservatorio Internazionale Scienze Audiovisive), sempre a Lugano. Collabora con la Radiotelevisione della Svizzera italiana (RSI) dal 2005 ed è membro fondatore dell’Associazione audiovisiva REC.

“Quegli stupefacenti anni zero” è un podcast originale di Olmo Cerri prodotto dalla Radiotelevisione Svizzera, con il sostegno della Fondazione per la Radio e la Cultura e dell’Associazione REC. La produzione è di Francesca Giorzi, mentre il lavoro di postproduzione è di Thomas Chiesa. Il sonoro è opera originale del musicista Victor Hugo Fumagalli.

“Eravamo tutti molto presi da questa nuova realtà in cui chiunque di noi poteva piantare della gangia, come si usava chiamarla allora, o perlomeno conosceva qualcuno che la coltivava. Non ci chiedevamo se sarebbe stato solo un periodo o se sarebbe durato nel tempo. E probabilmente non abbiamo avuto la percezione della fine finché non c’è effettivamente stata”.

La preoccupazione dei genitori

È stata una fase vissuta a pieno, asserisce Cerri che racconta nel podcast anche il suo personale rapporto con il consumo di marijuana. “Questa percezione di legalità che c’era nei confronti della canapa, non ci faceva preoccupare più di tanto delle conseguenze”.

Lo stesso però non valeva per i genitori dei molti e delle molte giovani che in quegli stessi anni si sono avvicinati alle canne. Compresi quelli dell’autore, che a un certo punto hanno espresso la propria apprensione indirizzandogli una lettera.

In base ai datiCollegamento esterno raccolti dall’Ufficio federale della sanità pubblica (UFSP), in Svizzera, oltre un terzo della popolazione di età superiore ai 15 anni ha già provato la canapa una volta nella vita. Nel 2017, il 7,7% delle svizzere e degli svizzeri di età compresa tra i 15 e i 64 anni aveva consumato la sostanza e il 4% lo aveva fatto almeno una volta nell’ultimo mese (ciò corrisponde a circa 225’000 persone).

Consumo problematico

In base ai numeri a disposizione (i più recenti risalgono al 2016), lʼ1,1% della popolazione svizzera ricorre alla canapa in modo problematico. Ciò significa che non ha più il controllo sul proprio consumo e pertanto soffre delle relative conseguenze negative (come ad esempio problemi di concentrazione, sensi di colpa, eccetera). Fra i giovani nella fascia di età tra i 15 e i 24 anni, la percentuale relativa al consumo problematico è più che doppia (2,8%).

“Scrivevano che mi volevano bene e che erano preoccupati del fatto che fumassi. E poi mi facevano notare che, nella storia, le droghe erano state distribuite dal potere alla gioventù per controllarla ed evitare che facesse la rivoluzione. L’eroina era servita a distruggere il movimento: per fare le rivoluzioni bisogna restare lucidi. Le droghe servivano a convincere i soldati ad andare in guerra. Sono stati veramente molto bravi e hanno usato gli unici argomenti retorici che forse avrebbero potuto avere un qualche tipo di impatto su di me. Ma naturalmente non è bastato”, confida in uno degli episodi.

Tutti sapevano, ma si faceva finta di niente

Le puntate seguenti si concentrano invece sul contesto socio-economico, e anche politico che si era creato intorno a questa lacuna della legge di cui molti hanno approfittato, ossia il “fingere” che si trattasse di vendita non a scopo di consumo.  

L’esplosione incontrollata del mercato creò però non pochi problemi. Una serra di 1’000 metri quadrati destinata alla coltivazione di verdure portava un guadagno annuo di 20-25’000 franchi; mentre con la canapa, il ricavo era di 150’000. E le spese erano le stesse.

Anche la politica aveva un forte interesse nel business dal momento che, per citare un risvolto della faccenda, i disoccupati e le disoccupate ticinesi collocati nelle piantagioni erano all’epoca diverse migliaia.

I risvolti della vicenda

“C’era in generale molta ipocrisia. Tutti sapevano che quella roba andava fumata ma si faceva finta di no. Questo però non è stato del tutto un male. Aveva anche lati positivi, come la distinzione tra droghe pesanti e droghe leggere, e ha permesso di togliere le seconde dal mercato nero”, sostiene l’autore. “Nemmeno oggi penso che la liberalizzazione sia il male. Semplicemente non si può basare tutto sul libero mercato, ci devono essere anche principi etici a regolarne la vendita, proprio come succede per esempio con i limiti di età o di additivi imposti alla vendita di alcol”.

L’espansione incontrollata del mercato favorì in effetti anche la diffusione di affari ben più loschi, l’abuso di pesticidi e un pericoloso potenziamento degli effetti stupefacenti dell’erba prodotta. Tutto ciò spinse la procura ticinese a muoversi in maniera drastica e smantellare sia la produzione sia la vendita presenti sul territorio.

Quale futuro per la marijuana legale?

A vent’anni di distanza, tante cose sono cambiate. Oggi, molte città nel mondo – da New York a Berlino – hanno aperto la porta alla legalizzazione o hanno avviato procedure per farlo.

In Svizzera è stata concessa la vendita di canapa a basso contenuto di THC o CBDCollegamento esterno. Inoltre, con una modifica di legge votata nel 2020, il Parlamento federale ha anche avallato le sperimentazioni pilotaCollegamento esterno della marijuana con dispensazione controllata a scopi non medici.

Insomma, sembra che il discorso della liberalizzazione sia effettivamente tornato in auge ma a patto che resti inquadrato in paletti legislativi molto più chiari di vent’anni fa.



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