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Profughi e soddisfazione italiana. Ma per quanto?

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di Aldo Sofia

La miglior citazione: “l’incendio doloso di una casa può mandare in fumo tutto il villaggio”, parole di Tolstoi, riprese un po’ minacciosamente da Erdogan, presidente di una Turchia che ospita oltre due milioni di profughi, anch’essi pronti a partire. La previsione più preoccupante: “alla fine i migranti che arriveranno in Europa saranno almeno cinque milioni”, secondo il pronostico della Commissione Ue a Bruxelles. La frase più coraggiosa: “Il modo in cui affronteremo e risolveremo insieme questa crisi ridisegnerà il futuro del nostro continente”, ha detto Angela Merkel.

E i messaggi più soddisfatti, quasi trionfanti, dopo il faticoso accordo per la redistribuzione di 120.000 profughi fra 25 Paesi UE? Quelli di Renzi e di Alfano. Parole del ministro italiano degli interni: “Avevamo visto giusto, avevamo visto lungo, avevamo visto prima sia dei singoli Stati partner continentali che della stessa Unione. Una nota amara: l’Europa ha capito e deciso tardi”. Almeno per una volta, difficile dargli torto.

Certo, più delle lamentele di Roma, più della inoperosa presidenza italiana dell’Unione, più della passività che in soli dodici mesi ha consentito alla Penisola di “liberarsi” di quasi centomila migranti lasciandoli fuggire verso Nord, a smuovere finalmente il vecchio continente è stato l’impetuoso e impressionante esodo biblico lungo la rotta dei Balcani, i muri di filo spinato, e le immagini di tante tragedie. Ma qualcosa va pur riconosciuta all’Italia, che fin dalla missione di “Mare Nostrum” (col salvataggio in mare di decine di migliaia di disperati: ci faccia un pensierino chi a Oslo sta decidendo del prossimo Nobel per la pace) ha ammonito che i confini dell’UE cominciano a 40 miglia da Lampedusa, e che dunque si trattava di emergenza europea.

Sotto l’urto delle ondate migratorie, constatato lo sfaldamento degli accordi di Dublino sugli asilanti (che dovrebbero rimanere nei paesi di prima accoglienza), e di fronte al rischio che saltasse anche l’intero edificio di Schengen (la libera circolazione fra le nazioni aderenti all’omonima intesa), la cancelliera tedesca prima ha aperto le sue frontiere, poi ha fatto la voce grossa sulla ridistribuzione dei migranti. Ponendo fine, o quasi, a un vergognoso ciclo di scontri. Durato fin troppo per non compromettere del tutto quel che rimane della credibilità dell’Unione.

Persino Viktor Orban – il leader ungherese che nel nome della “purezza etnica” e della cristianità europea, ha per primo murato il suo paese – è venuto a più miti consigli. Ha certo pesato la forza anche economica di Berlino, che l’interscambio di Budapest non può certo ignorare. Ma deve aver influito anche la presa d’atto che, nonostante l’illusione dei “confini sigillati”, nella sola giornata di giovedì 24 settembre in Ungheria sono entrati circa diecimila migranti. Un record.

Naturalmente un accordo…non fa primavera. Soprattutto nelle acque sempre agitate dell’Unione. Bisognerà vedere se e come essa riuscirà ad accordarsi su un accordo permanente, solido e duraturo di fronte alle future ondate migratorie (120 mila? una cifra ridicola”, ha ammonito il presidente della Commissione, Junker. Ancora velleitario è l’impegno a mediare un accordo che ponga fine alla carneficina siriana, principale fonte della grande fuga migratoria. Né basterà il miliardo di euro varati per aiutare i paesi confinanti – dalla Turchia alla Giordania al Libano – che ospitano affollatissimi campi profughi. Mentre all’Italia spetterà il non facile compito di organizzare gli “hot spot”, bizzarra definizione per definire i centri che dovranno provvedere alla meticolosa registrazione dei futuri arrivi attraverso il Canale di Sicilia.

Roma può sperare che l’inverno allenti i flussi via mare, e che, una volta aperta, la via dei Balcani continui ad essere quella privilegiata (perché meno pericolosa) da chi fugge guerre, repressione e miseria. Ma stavolta l’Italia potrebbe diventare una sorvegliata speciale. La soddisfazione e i sorrisi di oggi di Renzi e potrebbero dunque spegnersi in fretta.

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