Oggi in Svizzera
Cari lettori,
oggi è la Giornata internazionale della donna e un po' dappertutto anche qui nella Confederazione è un fiorire di iniziative per ricordare che, malgrado i passi in avanti compiuti in materia di parità, resta ancora molto da fare. In diversi ambiti, le discriminazioni sono purtroppo sempre all'ordine del giorno.
Una volta tanto, per questo bollettino ho quindi deciso di lasciare completamente da parte il tema che ci affligge ormai da mesi. Spazio quindi soprattutto alle donne.
Buona lettura
Il mondo delle start-up è fatto soprattutto di uomini. A livello mondiale, solo il 14% dei membri fondatori di imprese emergenti sono donne e la Svizzera non fa eccezione.
Start-up: un termine spesso sinonimo di innovazione, di tecnologia, di spirito imprenditoriale e – quando va bene – di successo. Anche se il termine si declina al femminile, però, di donne in queste aziende ve ne sono poche.
Nei Paesi europei, infatti, meno di un membro fondatore su quattro è una donna. Nella Confederazione, la proporzione è del 20%. Questa situazione è dovuta a diversi fattori. Un aspetto determinante è però la scarsa propensione degli investitori a prendere sul serio delle giovani imprenditrici. Troppo spesso, la tecnologia è considerata ancora un bastione maschile.
“Ci è voluto un anno prima di ottenere i finanziamenti necessari”, spiega Monica Tocchi, che nel 2009 ha lanciato la start-up Meditrial, attiva nel settore delle tecnologie mediche. “Alla fine, un socio maschio si è recato dai banchieri e solo allora abbiamo avuto successo”.
- L’articolo sul tema delle mie colleghe Katy Romy e Pauline Turuban.
- In questo dossier ripercorriamo invece il lungo cammino verso il suffragio femminile in Svizzera.
E non è solo il mondo delle start-up ad essere troppo maschile, ma – ed è certamente meno sorprendente – anche quello dell’esercito. A un punto tale, però, che la ministra della difesa Viola Amherd intende aumentare la proporzione di donne.
Meno di un soldato su cento in Svizzera è di sesso femminile. Una quota che potrebbe sembrare tutto sommato normale in un ambito riservato per secoli esclusivamente agli uomini.
Tuttavia, se si analizza la situazione in altri Paesi occidentali ci si rende rapidamente conto che la Svizzera è tra gli ultimi della classe. Ad esempio, in Francia la percentuale di donne in divisa è del 15%, in Germania del 10% e in Italia di circa il 5%.
La ministra della difesa Viola Amherd e i vertici delle forze armate vogliono però cambiare rotta e incrementare la quota femminile. La consigliera federale ha infatti incaricato lunedì il Comando dell’esercito di attuare una serie di proposte presentate nel rapporto “Donne nell’esercito”, pubblicato in occasione della Giornata internazionale della donna. In particolare, si vuole istituire un servizio per le donne, tra i cui compiti figurerà anche quello di coordinare le diverse attività nell’ambito della promozione femminile.
- Il mio articolo di cronacaCollegamento esterno sul tema.
- Il reportage della mia collega Sibilla Bondolfi, che ha seguito una giovane soldatessa.
- In questa intervista d’archivioCollegamento esterno, il quotidiano La Regione discute invece con la capitana Olivia De Weck.
Contrariamente ai loro connazionali in patria, gli svizzeri residenti all’estero hanno respinto, seppur di poco, l’iniziativa per il divieto del burqa, accettata domenica in votazione popolare.
Spesso e volentieri, gli svizzeri all’estero hanno un comportamento di voto un po’ diverso rispetto a quello che prevale nella madre patria. Non che le differenze siano enormi, ma capita sovente che gli espatriati votino in senso più liberale e progressista rispetto ai loro compatrioti.
Analizzando le cifre della votazione di questo fine settimana, emerge così che il 51,1% degli svizzeri all’estero ha respinto l’iniziativa per il divieto di dissimulare il viso. Il progetto, ricordiamo, è invece stato accettato dal 51,2% dei votanti. Anche l’accordo di libero scambio con l’Indonesia (accolto con il 51,6% di sì) è stato bocciato dagli espatriati, seppur con uno scarto veramente minimo.
La differenza è invece più marcata per quanto concerne la legge sull’identificazione elettronica. Se complessivamente il progetto è stato respinto dal 64,4% dei votanti, tra gli svizzeri all’estero la proporzione è ‘solo’ del 53,2%. Ciò si spiega molto probabilmente con il fatto che un’identità digitale comporterebbe diversi vantaggi per loro, prima di tutto nella prospettiva di un voto elettronico.
- L’analisi sul voto degli svizzeri all’estero della mia collega Pauline Turuban.
- I risultati delle votazioni federali del 7 marzo in un colpo d’occhio.
- Iniziativa per il divieto del burqa il giorno dopoCollegamento esterno, il servizio di RSI News.
UBS si trova di nuovo davanti alla giustizia in Francia, accusata di aver aiutato sistematicamente i clienti ad evadere il fisco.
Si apre lunedì a Parigi il processo d’appello contro la banca svizzera, che due anni fa in prima istanza era stata condannata a pagare 4,5 miliardi di euro per essere andata a caccia di clienti, cercando di convincerli ad aprire conti in Svizzera non dichiarati alle autorità tributarie.
Gli inquirenti avevano stimato che gli averi celati allo sguardo del fisco ammontassero ad almeno dieci miliardi di euro. Legalmente UBS deve rispondere delle accuse di fornitura illecita di servizi finanziari a domicilio e di riciclaggio aggravato del provento di frode fiscale.
Dopo il giudizio di primo grado, l’istituto elvetico aveva rinunciato a un patteggiamento, ritenendo che la somma da pagare sarebbe stata comunque troppo elevata, e aveva presentato ricorso.
- Il servizioCollegamento esterno sul processo di RSI News.
- UBS, “Banchieri come James Bond”Collegamento esterno: l’articolo del Sole 24 Ore sul processo che si apre a Parigi (articolo a pagamento).
- Per chi capisce il tedesco, l’intervista della HandelsZeitungCollegamento esterno al professore di diritto Peter V. Kunz.
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