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Naturalizzazione: la rigida Svizzera perde delle occasioni

Claude Longchamp, politologo e storico

La Svizzera è molto restrittiva nel concedere la cittadinanza. Un nuovo tentativo di cambiare regime è appena fallito. Eppure, tutto lascia supporre che si debba puntare sull'inclusione. Il Paese rischia di non stare al passo coi tempi.

Il Consiglio degli Stati [camera alta del Parlamento svizzero] non si è lasciato influenzare. Recentemente ha respinto una mozione che chiedeva la naturalizzazione automatica delle persone straniere nate in Svizzera. Questo avrebbe concesso loro il pieno diritto di voto e di eleggibilità. Ventinove rappresentanti cantonali erano contrari, 13 a favore. Anche la consigliera federale Karin Keller-Sutter ha respinto la richiesta a nome del governo nazionale.

Il vecchio principio della discendenza

Sono due i principi contrapposti. Da un lato c’è lo “ius sanguinis”, in italiano il diritto di sangue o principio di filiazione. In questo caso, la nazionalità dei genitori – o anche di un solo genitore – determina quella dei figli.

Poi c’è lo “ius soli”, chiamato anche diritto del suolo o principio del luogo di nascita. Esso prevede che i figli ottengano la cittadinanza in base al luogo in cui sono venuti al mondo.

“L’inclusione incarna l’opposto del cammino intrapreso dalla Svizzera.”

Storicamente, era il principio di filiazione a dominare. Questo perché la cittadinanza era ereditata attraverso il padre. Con l’uguaglianza di genere, lo “ius sanguinis” è stato parzialmente abbandonato.

Parallelamente, è cresciuta l’importanza del principio del luogo di nascita. Nel Nordamerica e Sudamerica, lo “ius soli” si applica quasi ovunque. E in questo modo, le società di immigrazione in particolare hanno fatto buone esperienze in materia di integrazione.

Anche in India è stato abolito completamente lo “ius sanguinis”. In molti altri Paesi viene applicato un misto dei due principi.

Pochi diritti per le persone straniere

Nella loro pubblicazione sulla storia della cittadinanza svizzera, lo storico Gerald Arlettaz e le storiche Brigitte Studer e Regula Argast scrivono: “Il nostro Paese segue il principio di filiazione e combina in modo stretto nazionalità, diritti civili e diritti politici”.

Solo nella Svizzera francese si è mantenuta l’idea secondo cui i diversi livelli statali possono definire i diritti politici che vogliono accordare. Nei Cantoni di Ginevra, Vaud, Neuchâtel, Giura e Friburgo, le persone straniere hanno ancora il diritto di voto e di eleggibilità a livello comunale.

Non così nella Svizzera tedesca. Solo nei Grigioni, Appenzello Esterno e Basilea Città i Comuni possono decidere se introdurre il diritto di voto per le persone straniere.

Tutta una questione di legna ed elemosina

Il gruppo di esperti ed esperte di storia fa risalire il principio di filiazione al periodo antecedente lo Stato federale svizzero. Fino alla fine del XVIII secolo, la mobilità geografica era ridotta, persino tra i Cantoni. Coloro che avevano una discendenza locale potevano beneficiare di beni comunali quali la legna e venivano sostenuti dal loro comune di origine in caso di povertà.

La situazione non è cambiata con il giovane Stato federale fondato nel 1848, che ha integrato la giurisprudenza cantonale. Tuttavia, ha preso una decisione importante: l’esclusione della doppia cittadinanza. I padri dello Stato miravano a impedire ai cittadini svizzeri di svolgere il servizio militare sia in patria che all’estero. Nel XIX secolo, i doveri di uno svizzero erano strettamente legati ai diritti di un cittadino.

Il modo di intendere la nazionalità è cambiato durante il XX secolo, con l’arrivo in Svizzera di persone immigrate dall’Europa meridionale, e questo ha avuto importanti conseguenze. La parola d’ordine è diventata “assimilazione”: si poteva essere o diventare dei buoni svizzeri o delle buone svizzere solo se ci si adattava alla vita locale. Era una reazione al crescente numero di persone straniere che sono immigrate con l’industrializzazione.

“La popolazione svizzera si è resa conto di quanto fosse diventata obsoleta la sua  comprensione della nazionalità e dei diritti politici solo nel 1978.”

La visione della Svizzera si è ristretta ulteriormente durante la Seconda guerra mondiale. Le persone indigenti, rifugiate o di origini ebree erano generalmente escluse dalla cittadinanza.

Inoltre, le regole sul matrimonio sono state inasprite durante il regime dei pieni poteri applicato durante la Seconda guerra mondiale. Le svizzere che sposavano uno straniero perdevano la loro cittadinanza. E i cosiddetti matrimoni di convenienza tra persone straniere e di nazionalità svizzera potevano essere sciolti.

Con la legge sulla cittadinanza del 1952, la Svizzera ha abolito alcune discriminazioni nei confronti delle donne, ma ha continuato a perseguire la sua politica di esclusione sulla cittadinanza. I criteri per la naturalizzazione sono stati nuovamente inaspriti, il termine di residenza esteso e la verifica dell’idoneità sancita nella legge.

Rottura con la tradizione

La popolazione svizzera si è resa conto di quanto fosse diventata obsoleta la sua concezione della nazionalità e dei diritti politici solo nel 1978, quando il film di successo “Die Schweizermacher” (I fabbricasvizzeri) di Rolf Lyssy, con Emil Steinberger, mise comicamente in risalto il comportamento inquisitorio della polizia nei confronti delle persone che avevano intrapreso la procedura di naturalizzazione.

L’unità di “soldato e cittadino” del XIX è stata sciolta con l’introduzione del suffragio femminile nel 1971. Era stata avanzata una proposta per rendere il servizio militare obbligatorio per le donne, ma non ha avuto seguito. Le donne hanno così ottenuto dei diritti politici grazie al movimento per i diritti umani, senza dover servire nell’esercito. Ciò è stato riaffermato nel 1992, quando le donne hanno ottenuto gli stessi diritti degli uomini in materia di cittadinanza.

Dall’esclusione all’inclusione

Per quanto riguarda la Svizzera, il XX secolo può essere visto come una lunga tendenza all’esclusione deliberata di interi gruppi della popolazione dalla società. Come conseguenza, è diventato più difficile avere voce in capitolo in politica, e questo per un numero crescente di persone.

Ciò si contrappone all’inclusione, altrettanto deliberata, di nuovi membri della società. L’inclusione incarna l’opposto del cammino intrapreso dalla Svizzera. Ma è vista come una grande sfida e opportunità nel contesto globalizzato delle nazioni.

La diversità è il nuovo concetto centrale nel XXI secolo. Una società moderna ha bisogno di diversità per ampliare le competenze. L’economia attiva a livello internazionale l’ha capito da tempo. Offre alle persone immigrate con competenze l’opportunità di salire ai vertici delle sue aziende e ai livelli salariali più alti.

Il mondo politico è però esitante. Negli ambienti conservatori della popolazione e nei partiti che aderiscono al modello classico di cittadinanza c’è resistenza.

Naturalizzare, poi funzionerà anche l’integrazione

A spingere per l’inclusione è ora la campagna “Vierviertel”, che esige niente di meno che il coraggioso progetto di una nuova società: chi vive qui dovrebbe avere un diritto fondamentale alla naturalizzazione. A tal fine, l’associazione è pronta a lanciare un’iniziativa popolare.

Le persone all’origine del movimento si basano su uno studio dell’Università di Lucerna, pubblicato nel 2016, in cui è stato definito un “Immigration Inclusion Index” a livello internazionale. La Svizzera si è classificata penultima su più di 20 Paesi. Gli Stati vicini, Francia e Italia, sono significativamente più inclusivi, ma anche Germania e Austria sono più avanti della Svizzera.

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Colpisce in particolare il fatto che, a causa della duratura pratica di esclusione in materia di naturalizzazione, la proporzione di persone residenti con diritti politici è in calo in tutta la Svizzera. In Cantoni quali Ginevra e Basilea Città, presto sarà quasi del 50 per cento.

Un altro studio, realizzato al Politecnico di Zurigo, fornisce ulteriori spunti. Il ricercatore sociale Dominik Hangartner ha dimostrato in un esperimento che chi ha ottenuto la cittadinanza dieci anni fa è oggi significativamente più integrato di coloro ai quali è stata negata la naturalizzazione all’epoca.

Questo ribalta una ferma convinzione di chi si oppone a una nuova società di cittadini e cittadine. L’integrazione, infatti, non è un prerequisito per la naturalizzazione, ma piuttosto una sua conseguenza.

La democrazia svizzera ha vissuto e vive tuttora, più di qualsiasi altro Paese, della partecipazione dei suoi membri. Se un giorno lo “ius soli” dovesse completare lo “ius sanguinis”, non avrà che da guadagnarne.

Traduzione dal tedesco: Luigi Jorio

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