Anche a Ginevra vi sarà un salario minimo
Ventitré franchi all'ora in tutti i settori: è il salario minimo che i ginevrini percepiranno in futuro. Il 58,1% dei votanti ha approvato domenica un'iniziativa in tal senso dei sindacati.
La terza volta è quella buona: dopo aver detto no nel 2011 a un'iniziativa popolare che chiedeva l'introduzione di un salario minimo a livello cantonale e aver respinto nel 2014 un progetto a livello federale, questa volta i ginevrini hanno accettato la proposta promossa dai sindacati.
Ginevra va così ad aggiungersi ad altri due cantoni che contemplano questa misura. A Neuchâtel è in vigore dall'agosto 2017, mentre nel Giura dal febbraio 2018. In Ticino, l'introduzione di un salario minimo è stata approvata in votazione popolare nel 2015 e la relativa legge, adottata alla fine del 2019, prevede una paga oraria compresa tra 19,75 e 20,25 franchi all'ora. Il provvedimento non è però ancora entrato in vigore poiché alcune aziende hanno presentato ricorso davanti al Tribunale federale.
Circa 30'000 persone
L'iniziativa approvata dal 58,1% dei votanti ginevrini ha per obiettivo di lottare contro la precarietà. Secondo i sindacati, all'origine del testo sostenuto dall'insieme della sinistra, a Ginevra non è possibile vivere in modo degno con un salario inferiore. Ventitré franchi all'ora corrispondono a un salario mensile di 4'086 franchi per 41 ore di lavoro settimanali.
A trarre profitto dal salario minimo sarebbero circa 30'000 persone, due terzi delle quali donne, sostengono i sindacati.
Tra i settori che beneficerebbero del provvedimento vi sarebbero alcuni di quelli che si sono rivelati essenziali durante la crisi del coronavirus: commercio al dettaglio, parrucchieri, albergheria e ristorazione, pulizia…
La destra e gli ambienti economici hanno combattuto l'iniziativa, argomentando che le misure attuali sono sufficienti per lottare contro il fenomeno dei salari bassi e che l'introduzione di un obbligo legale avrebbe minato il partenariato sociale. Per la sinistra, non si trattava di intaccare il dialogo tra le parti sociale, bensì di colmare le lacune.
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