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La “rivoluzione” di papa Francesco: quando alle parole seguono i fatti

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di Aldo Sofia

In cosa consiste la “rivoluzione” di papa Francesco? Finora, in nessuna delle sue decisioni vi è stato uno stravolgimento della dottrina. Sono invece lo stile, le parole e i fatti a segnare la diversità e la sostanza del suo pontificato. Soprattutto quando alle parole seguono i fatti. Così la sua “Chiesa povera per i poveri” – subito annunciata, anche con la scelta del nome, quando salì alla soglia di Pietro – ebbe immediatamente una rappresentazione coerente, concreta, ben visibile: la decisione di vivere in un paio di stanze a Casa Santa Marta – che ospita anche semplici sacerdoti – e non nel semi-isolamento dello storico Palazzo Apostolico -, il simbolo stesso del potere ecclesiastico.

Già quel debutto imprimeva dunque il senso di una svolta profonda. Fu solo l’inizio. E in un paio di anni, il papa argentino, che si presentò alla folla stipata in San Pietro dicendo di essere “venuto dalla fine del mondo”, ha quasi forzato le tappe del cambiamento. Come se avesse fretta. Dal “Chi sono io per giudicare i gay?” alla riforma dello IOR (l’opaca banca vaticana), dal perdono da concedere in vista del Giubileo alle donne che hanno abortito, fino alla riforma della Sacra Rota per l’annullamento del matrimonio religioso.

Anche in quest’ultima riforma, nulla che intacchi i dogmi. Ma una nuova procedura (accelerata, sburocratizzata, affidata ai vescovi, gratuita e quindi più “popolare”) che cancella l’immagine di un tribunale che sembrava quasi esclusivamente riservato ai grandi nomi di una mondanità che Bergoglio ha bacchettato più volte. Svolta, soprattutto, che provocherà nuovi mugugni nel fronte conservatore (curiale e no), per nulla rassegnato alle iniziative del “papa pauperista”. Nel caso specifico, l’accusa sarà quella di favorire comunque il divorzio, contro la sacralità del matrimonio. Una resistenza che a fine mese si concretizzerà, pare, nelle pagine di un libro firmato da undici cardinali. Non molti, ma probabilmente solo la punta di un iceberg di malumori.

Ma non si ferma un pontefice che continua a denunciare la distanza fra la Chiesa e “i troppi fedeli esclusi dalla distanza fisica e morale”. Che insiste su quel’ “ospedale da campo” che deve “includere, accettare, perdonare”. Vi fu del resto un altro “gesto profetico” all’inizio di questo pontificato: come meta del suo primo viaggio fuori Roma, Francesco scelse Lampedusa, l’isola della disperazione dei profughi – troppo spesso inghiottiti dalle acque del Mediterraneo – ma anche riconoscimento per l’isola di una difficile accoglienza.

“Se li porti in Vaticano”, fu la rabbiosa reazione di molti, compresi i politici che sul dramma dei migranti ritengono di poter conquistare la “golden share” delle loro fortune elettorali. La risposta é stata “francescanamente” semplice: che ogni parrocchia d’Europa – ha chiesto il pontefice – ospiti almeno una famiglia di chi fugge guerre, dittature e fame. Aggiungendo: “Le chiese chiuse non sono chiese, sono musei”. Vera rivoluzione? Ingenuità? Pericolosa illusione? O Chiesa che ritrova la sua essenza evangelica?

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