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La cultura italiana, un bene di tutti in Vallese

In Svizzera, una persona su otto è per qualche ragione legata alla lingua o alla cultura italiane: origine, famiglia, lavoro, tempo libero. Il Quotidiano della RSI propone una serie di reportage su questa italianità diffusa nel Paese.

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La Svizzera “che pensa, scrive e sogna in italiano”, come l’ha definita il consigliere federale Ignazio Cassis al momento della sua elezione in Governo, è ben presente anche fuori dal Ticino e dalle valli italofone dei Grigioni.

Il canton Vallese, ad esempio, ha iscritto l’italianità nella suo patrimonio culturale immaterialeCollegamento esterno.

Il gruppo di stranieri più numeroso

Nel capoluogo Sion, ogni 8 dicembre, sfilano nel centro storico le comunità straniere e locali per festeggiare l’Immacolata. Nel corteo, tradizione di lunga data, spicca un gruppo più nutrito degli altri.

È proprio quello degli italiani, che nel cantone sono più di 20 mila. Emigravano in Vallese alla ricerca di un lavoro già prima del secondo dopoguerra. Si trattava soprattutto di uomini, specie operai e muratori, che portavano i loro mestieri e le loro capacità manuali.

Un Vallese costruito insieme

Il riconoscimento dell’italianità come parte integrante della società vallesana non è un regalo, sottolinea il presidente dell’Associazione Italia-Vallese, Domenico Mesiano; è dovuto “al sacrificio, al lavoro di migliaia di lavoratori che hanno pagato anche con la loro vita, per costruire questo Vallese moderno”.

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‘Neve e ghiaccio’, 50 anni dalla sciagura di Mattmark

Questo contenuto è stato pubblicato al Nel pomeriggio del 30 agosto 1965, una valanga di neve, ghiaccio e pietre precipita dal ghiacciaio dell’Allalin, e investe il cantiere della Electrowatt per la costruzione della diga di Mattmark, in Vallese. È la più grave sciagura sul lavoro mai avvenuta in Svizzera: muoiono 88 persone. Sono italiani (la comunità più colpita dai lutti, oltre…

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La mente va inevitabilmente alla diga di Mattmark, sul cui cantiere nel 1965 morirono travolti da una valanga 88 operai, dei quali 56 di nazionalità italiana. Una sciagura che impressionò l’intera Svizzera, cambiandone l’atteggiamento nei confronti dei “lavoratori ospiti”.

Lì cominciò “quel lungo processo pro-stranieri di cui non c’era traccia prima”, spiega Toni Ricciardi, storico della migrazione all’Università di Ginevra. “Mattmark influì notevolmente, nonostante il periodo, sui risultati delle iniziative anti-stranieri o anti-italiani”.

Parte degli usi e costumi

Al contempo, osserva Ricciardi, comincia l’integrazione con la gente del posto. “Sono due povertà che si incrociano, i vallesani che emigravano e gli italiani che arrivavano, e insieme, lavorando gomito a gomito, hanno probabilmente costruito un comune sentire e un comune percorso”.

“Teniamo all’italianità in sé”, conferma il direttore dell’Ufficio della culturaCollegamento esterno del canton Vallese, Jacques Cordonier, “ma anche al processo esemplare che c’è stato nei secoli con questo incontro di due comunità. Compenetrandosi, nutrendosi a vicenda, ma mantenendo ognuno la propria identità.”

Un tocco di cinema

A proposito di cultura e ponti culturali, in Vallese ha anche sede la Fondazione Federico Fellini, che custodisce migliaia di documenti appartenuti al maestro del cinema italiano. Il suo più stretto collaboratore era un vallesano.

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