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Il tetto al contante: tanto rumore per nulla

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Francesco Lippi (Lavoce.info)

I dati sui cambiamenti nelle abitudini di pagamento delle famiglie italiane indicano che il tetto al contante è una misura inutile. E il gran parlare che se ne fa finisce per deviare l’attenzione dai problemi reali e dalle soluzioni che si dovrebbero adottare per un’efficace lotta all’evasione.

I dati sul tetto

L’acceso dibattito sull’innalzamento del tetto all’uso del contante vede contrapposti due schieramenti. Da un lato, chi ritiene la misura irrilevante, perché è facile da aggirare e quindi inutile come tutte le norme non applicabili: per molti servizi (come dentista o idraulico) si possono far figurare due pagamenti da 600 euro invece di uno da 1.200. A maggior ragione nel caso delle imprese criminose, le cui transazioni, in contanti e non, avvengono lontano dagli occhi delle autorità e sono ovviamente immuni al tetto.

Dall’altro lato, c’è chi vede nell’innalzamento del tetto un regalo agli evasori. Per costoro, si tratta di una misura efficace: se i cittadini lo rispettano, aumenta l’utilizzo degli strumenti di pagamento tracciabili (carte di debito o credito, bonifici), rendendo più complessa l’evasione dell’Iva per commercianti e imprese.

L’economia è una scienza empirica il cui progresso richiede, oltre a qualche deduzione logicamente coerente, dati con cui confrontare le ipotesi. Purtroppo, in questo dibattito, i dati sono i grandi assenti.

Si potrebbe pensare che i vari governi che negli anni hanno imposto il tetto, alzandolo e abbassandolo ben sei volte dal 2008, abbiano verificato l’efficacia del provvedimento. Non mi risulta. Sebbene l’analisi non sia semplice, un primo sguardo ai dati serve a farsi una idea su quanto prontamente le famiglie abbiano modificato le proprie abitudini di pagamento in seguito delle variazioni del tetto.

Tavola 1

Anno 2008 2010 2012

% di spesa in contanti 43,7 42,7 40,9

dettaglio Sud Italia 60,3 61,2 60,3

% di famiglie che possiedono bancomat e carta di credito

con bancomat 64 69 71

con carta di credito 32 32 29

Fonte: Banca d’Italia, Indagine sui bilanci delle famiglie italiane, anni vari. Spesa su beni non durevoli.

La tavola riporta la percentuale di spesa effettuata in contanti da parte delle famiglie italiane. Dal 2008 al 2012 il tetto passa da un massimo di 12.500 euro al minimo di 1.000 euro (governo Monti). Se fosse efficace ci si dovrebbe attendere che una così grande stretta al vincolo comporti una ben visibile riduzione della quota di spesa effettuata in contanti. I dati per l’intero paese indicano una piccola riduzione della quota, dal 43,7 per cento al 40,9. Sono quasi 3 punti percentuali di consumo, l’1,8 per cento del Pil. Un conto della serva ci aiuta a capire di cosa stiamo parlando. Assumendo che l’Iva su questi acquisti fosse completamente evasa prima del 2008 e completamente pagata nel 2012, parliamo di un “recupero di evasione” pari a circa lo 0,4 per cento del Pil (intorno a 6 miliardi di euro). Una briciola a confronto dei 100 miliardi di evasione di cui si favoleggia.

L’effetto è ancora più modesto se ci si concentra sulle famiglie residenti al Sud Italia, dove l’uso del contante è maggiore, così come presumibilmente lo è l’evasione (a parità di valore del prodotto). La seconda riga della tavola mostra che la percentuale di consumo finanziata in contanti nel 2012 è la stessa del 2008. Nessun effetto quindi. Anche l’analisi della diffusione di strumenti di pagamento alternativi al contante tra le famiglie non evidenzia alcun cambiamento significativo. La percentuale di famiglie che possiedono il bancomat aumenta un po’, quella con la carte di credito pare addirittura in lieve riduzione.

Un’analisi rigorosa cercherebbe di separare gli eventuali effetti del tetto dall’evoluzione storica, che comunque vede una lenta riduzione dell’uso del contante in tutti i paesi (inclusa l’Italia). Infine, nemmeno l’analisi dell’andamento del gettito Iva, rispetto al Pil italiano o in deviazione da quello dei partner europei, evidenzia una qualche discontinuità in corrispondenza dell’abbassamento del tetto al contante.

Di cosa dovremmo discutere

Alla luce di questi fatti, è difficile capire come mai questo dibattito susciti tanto interesse. I dati indicano che nell’ipotesi più favorevole, la misura porta un modestissimo incremento degli introiti Iva. E nessuno sembra preoccuparsi delle complicazioni che la norma impone sulle scelte di milioni di onesti individui riguardo la gestione dei propri pagamenti. Impossibile poi non ricordare che l’evasione è bassa in molti paesi dove il contante è assai usato e non esiste alcun tetto al suo utilizzo, come Germania e Austria.

In conclusione, la norma non serve a niente e ben venga la sua rimozione in un’ottica di semplificazione della vita degli italiani. E tuttavia, il dibattito sul tetto al contante è dannoso perché pone la discussione su temi quali l’evasione fiscale e la crescita dei consumi, su un piano irrilevante. Invece di perdersi dentro alla cortina fumogena di questo falso problema, non sarebbe meglio discutere dei veri strumenti di lotta all’evasione: governance della Guardia di finanza, incrocio delle basi dati, diffusione della grande distribuzione e delle associazioni di professionisti? Non sarebbe utile parlare delle misure per la crescita, come la detassazione delle imprese e del lavoro? Possibile che l’ennesimo abbandono del commissario alla spending review passi in sordina, sotto l’assordante chiasso del balletto che da anni si fa intorno al contante?

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