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Il test nucleare nordcoreano e il messaggio inviato al mondo

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di Dario Fabbri (Limes)

Con il test nucleare realizzato il sei gennaio Pyongyang ha voluto lanciare numerosi messaggi. Agli Stati Uniti, alla Corea del Sud, alla Cina, alla comunità internazionale, alla popolazione locale. In sintesi: il regime ha avvertito amici e antagonisti che non ha alcuna intenzione di mollare e che intende corroborare il proprio potere negoziale e di deterrenza.

Non è certo se il sisma registrato nella regione di Kilju, nel nord-est della Corea del Nord, dove si trova il sito di Punggyeri, sia stato causato da una bomba all’idrogeno miniaturizzata, come sostenuto dalla propaganda ufficiale, oppure da un meno inquietante ordigno a fissione nucleare “potenziata”. In ogni caso la realizzazione del quarto test atomico nordcoreano, l’ultimo risale al febbraio del 2013, segnala il progredire dello specifico programma nazionale e la volontà del leader Kim Jong-un di rivolgersi direttamente ai suoi principali interlocutori.

Anzitutto agli Stati Uniti. Da anni ormai – la fine dei six-party talks risale al 2009 – Washington agisce come se la Corea del Nord non esistesse. Nei calcoli degli americani isolare il paese può condurre a due principali conseguenze: crollo del regime, con gravi conseguenze soprattutto per la Cina che dovrebbe gestire il caos alla frontiera e l’inevitabile afflusso di profughi; oppure un’inedita apertura verso l’esterno che produca riforme e malleabilità.

Il sei gennaio Kim Jong-un ha invece informato Obama che è saldamente in sella e che si sta dotando di una reale deterrenza, quella nucleare, che dovrebbe porlo al riparo da attacchi militari e rivoluzioni colorate di origine esogena. Non solo. Il giovane leader ha inteso comunicare che il programma atomico non è più cancellabile e che la superpotenza farebbe bene a trattarlo con rispetto. Allo stesso tempo Pyongyang invita così i sudcoreani ad astenersi da azioni eversive e propagandistiche. Rivolgendosi anche alla comunità internazionale (Europa e Giappone), affinché si spenda per la ripresa di negoziati tra le parti che conducano soprattutto ad elargizioni finanziarie in favore del regime.

Quindi la Corea del Nord ha ribadito la propria (relativa) autonomia nei riguardi della Cina, soprattutto evitando di avvertire il vicino dell’imminenza di un test che ha provocato disagi in tutta la regione di confine tra i due paesi. Pyongyang pretende dalla Repubblica Popolare maggiore considerazione e aiuti economici (anche derrate alimentari). Pena l’intensificarsi di una condotta già ampiamente erratica. Kim Jong-un sa bene che Pechino ha bisogno del suo paese come cuscinetto nei confronti della Corea della Sud, giacché in caso di una sua dissoluzione potrebbe trovarsi i militari americani alla frontiera. Infine, in vista del VII Congresso del Partito dei lavoratori di Corea, a 36 anni dall’ultima assise, il leader si sta industriando per corroborare la propria posizione così da imporsi sui dirigenti comunisti.

Difficile stabilire se l’esperimento del sei gennaio modificherà le relazioni esistenti tra Pyongyang e i vari attori internazionali. Ma, date le difficoltà economiche e le sfide geopolitiche che gravano sul paese, Kim Jong-un sembra pronto ad alzare ulteriormente la tensione per difendere il regime.

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