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Viaggio tra i beni confiscati in Calabria #3

Da sala giochi a un negozio di articoli per bambini. Di luoghi che cambiano a Reggio Calabria ce ne sono tanti, uno in particolare, è rinato grazie a tutta quella parte della cittadinanza che si è schierata dalla parte di Tiberio Bentivoglio, imprenditore e testimone di giustizia, che ha avuto il coraggio di denunciare chi gli chiedeva il pizzo.

Il 15 marzo del 2016, Bentivoglio inaugura la Sanitaria Sant’Elia in quell’immobile che era stato “off limits” con i suoi vetri scuri che non permettevano di vedere ciò che succedeva all’interno. Oggi, al civico 41, i soldati in mimetica presidiano il negozio.

Qualche numero

Secondo l’Agenzia nazionale dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (ANBSC) sono quasi 26mila i beni mobili, immobili e aziendali sequestrati in Italia. I dati, aggiornati al 21 maggio 2017, confermano un trend negativo per il meridione: sul podio ci sono, infatti, la Sicilia con 8868 e a seguire la Calabria (dove il maggior numero si concentra nella provincia di Reggio Calabria) con 4271 e la Campania con 4109.

Seguono Puglia (2410), Lazio (2065), Lombardia (1507), Toscana (396), Emilia Romagna (382), Piemonte (323), Veneto (317), Abruzzo (259), Sardegna (238), Liguria (147), Umbria (112), Basilicata (60), Marche (47), Valle d’Aosta (26), Trentino Alto Adige (20), Friuli Venezia Giulia (19) e Molise (7).

Per anni l’ex Trocadero è stato tra le sale giochi più note e frequentate della città. Sequestrato nel 2008 e confiscato nel maggio del 2015, è stato poi destinato al Comune di Reggio Calabria.

La storia del sequestro

La sua storia è legata all’ex proprietario Gioacchino Campolo, arrestato nell’ambito dell’operazione ‘Geremia’ reo, secondo i magistrati, di aver reinvestito nel mattone i proventi illeciti e di aver eluso i controlli dell’autorità giudiziaria intestando tutto a moglie e figli. Un vero e proprio tesoro tra beni mobili, immobili, auto di lusso e perfino 17 quadri d’autore, tra cui Dalì, Ligabue e De Chirico, trovati appesi alle pareti di un appartamento romano.

Nel 2013, Campolo viene condannato a 16 anni per estorsione aggravata dalle modalità mafiose e i suoi beni sparsi tra Reggio Calabria, Roma e Parigi tornano nelle mani dello Stato e uno di questi, per la prima volta in Italia, viene dato in gestione a un testimone di giustizia.

«Ho fatto questa scelta perché nessuno voleva affittare un magazzino a chi si è ribellato alla ‘ndrangheta», spiega Tiberio Bentivoglio.

Per l’imprenditore, quei trecento metri quadrati si sono trasformati in un luogo di speranza dopo anni di minacce, soprusi e avvertimenti di stampo mafioso per non essersi mai piegato a chi gli chiedeva il pizzo per alzare la serranda della sua Sanitaria.

Il primo furto porta come data il 10 luglio del 1992: 500 mila delle vecchie lire e una pistola finiscono in mano ai ladri. Il 13 luglio del 1998, un nuovo furto. Dopo cinque mesi, si cambia tipo di avvertimento, il 4 dicembre la Sanitaria scompare tra le fiamme.

Avvertimenti e spari

Il 5 aprile del 2003, una bomba devasta nuovamente il negozio, gettando nello sconforto la famiglia Bentivoglio. Le indagini, grazie alle intercettazioni ambientali, portano all’individuazione degli autori materiali, i gemelli Gianfranco e Sebastiano Musarella, squadra operativa della cosca di San Giovanello. Tiberio e la moglie Enza si costituiscono parte civile nel processo penale. In cambio ricevono una busta con un proiettile di pistola calibro 7.65.

Da oltre vent’anni, la vita dell’imprenditore reggino è raccontata per filo e per segno nei verbali. Anni di indagini portano alla condanna per associazione mafiosa di Santo Crucitti, capo cosca di Eremo-Condera legato ai De Stefano-Tegano, il luogotenente di Crucitti, Giuseppe Romeo e Mario Salvatore Chilà.

Ad un anno dalla sentenza, la punizione per Bentivoglio continua e la posta in gioco è altissima. Sei spari in tutto, ma l’imprenditore miracolosamente riesce a salvarsi. E dopo questo episodio inizia la sua risalita, si avvicina a Libera, conosce Don Ciotti e buona parte della cittadinanza decide da che parte stare, raccogliendo 40mila euro per la ristrutturazione del bene confiscato. Il nome di Tiberio diventa quello di un testimone di giustizia che lotta e che resiste alle logiche di sopraffazione mafiosa.

 

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