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Trump vs Hillary e gli Stati che decideranno la corsa per la Casa Bianca

Ingresso degli Stati nell'Unione Limes

Secondo gli ultimi sondaggi realizzati a livello nazionale, Donald Trump sarebbe nuovamente a ridosso di Hillary Clinton, in alcuni casi all’interno del margine di errore statistico. Ma nelle presidenziali d’Oltreoceano si vota in forma indiretta e federata. Sicché le elezioni saranno decise soltanto in alcuni, cruciali Stati: Pennsylvania, Florida, Ohio. Con l’affluenza alle urne dei segmenti demografici più rilevanti a determinare l’esito della corsa.

Stando alla media dei sondaggi realizzata dal sito Real Clear Politics, Hillary Clinton sarebbe in testa dell’1,7% rispetto al suo rivale. Ampiamente all’interno del margine di errore del 2,5%-3%. Ma le dichiarazioni di voto riguardanti l’intero territorio federale hanno poco valore, poiché le presidenziali si celebrano Stato per Stato e con il diaframma del collegio elettorale.

Per volontà dei padri fondatori la scelta della massima carica istituzionale avviene in forma differita. L’8 novembre i cittadini non eleggeranno il presidente, bensì i grandi elettori statali che il lunedì successivo al secondo mercoledì di dicembre si riuniranno nelle rispettive capitali per votare il nuovo inquilino della Casa Bianca. L’obiettivo di ogni candidato alla presidenza è aggiudicarsi la maggioranza assoluta dei grandi elettori, ovvero 270 su 538. Tale barocca procedura – pensata per allontanare gli americani dalla politica – palesa l’inutilità delle proiezioni nazionali e, viceversa, esalta il ruolo degli Stati.

Come ormai capita da alcuni decenni, anche nell’attuale tornata elettorale gli Stati decisivi restano quelli del Midwest e dell’America atlantica, cui si aggiungono sporadicamente altri Stati collocati nel Sud-ovest del paese. Su tutti l’Ohio, la Pennsylvania e la Florida, che cumulati garantiscono ben 67 grandi elettori. E’ qui che Trump vorrebbe vincere la sua scommessa, ovvero convogliare nelle urne la rabbia della classe media bianca danneggiata dalla globalizzazione e la fedeltà repubblicana della popolazione di origine cubana della Florida. Se il magnate newyorkese si aggiudicasse questi tre Stati, conservando le altre storiche roccaforti repubblicane che negli anni sono appartenute a Bush figlio e Romney, molto probabilmente ascenderebbe alla Casa Bianca.

Nel 2012 Obama si è imposto in tutti e tre gli Stati in questione e anche quest’anno non sarà semplice strappare alla Clinton territori in cui vivono operai bianchi mediamente sindacalizzati, altri bianchi suburbani distanti dalla politica ed ispanici di nuova generazione. Al momento Trump resta competitivo in Ohio e in Florida (secondo alcuni rilevamenti sarebbe addirittura in testa da queste parti), ma sarebbe già troppo distante in Pennsylvania. Soprattutto il candidato repubblicano è costretto in queste ore a combattere battaglie di retroguardia in Stati storicamente conservatori, come Georgia, Utah e Arizona in cui Romney si è imposto con facilità. Né i suoi sforzi paiono in grado di scalfire la solidità democratica di Stati come Colorado e New Mexico, dove peraltro vive una folta popolazione ispanica.

Trump può confidare sul (parziale) pudore di alcuni elettori che, interpellati nei sondaggi, spesso si dichiarano incerti, benché abbiano già deciso di votare in suo favore. Ma non possiede la macchina elettorale per condurre alle urne centinaia di migliaia di astensionisti che pure apprezzano il suo messaggio politico.

Dinamiche e dati destinati ad incidere grandemente sulle presidenziali dell’8 novembre, ovvero su quegli Stati che sceglieranno il prossimo presidente.

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