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Da 50 anni la Fondazione Ecap getta nuovi ponti per gli immigrati

tre persone sedute in una classe
Il volto dell'immigrazione è cambiato molto rispetto agli anni Sessanta e Settanta, quando la maggior parte dei lavoratori che arrivava in Svizzera era scarsamente qualificata. Keystone / Fritz Grunder

Dai primi corsi organizzati nei garage a una realtà ormai consolidata: in mezzo secolo di vita l'Ecap, creata dal sindacato CGIL e destinata inizialmente agli immigrati italiani, è diventata uno dei più importanti enti di formazione degli adulti in Svizzera.

“Cercavamo braccia, sono arrivati uomini”: la famosa frase di Max Frisch – scritta nel 1965 nella prefazione del libro “Siamo italiani – Gespräche mit italienischen Gastarbeitern” (Colloqui con lavoratori immigrati italiani) – riassume perfettamente il rapporto pieno di ambivalenze tra la Svizzera e i suoi immigrati. Una frase che, alla luce dell’esperienza maturata in questo mezzo secolo dalla Fondazione Ecap SvizzeraCollegamento esterno, potrebbe essere completata così: “uomini che avevano anche sete di apprendere”.

Creata nel 1970 grazie alla collaborazione tra le CDai primi corsi organizzati nei garage a una realtà ormai consolidata: in mezzo secolo di vita l’Ecap, creata dal sindacato CGIL e destinata inizialmente agli immigrati italiani, è diventata uno dei più importanti enti di formazione degli adulti in Svizzera.olonie libere italiane e la Confederazione generale italiana del lavoro (CGIL) e su impulso di personalità del calibro di Leonardo Zanier ed Ettore Gelpi, l’Ecap ha infatti formato in questi 50 anni decine di migliaia di immigrati e più in generale persone non qualificate. 

Fare uscire gli italiani dal ghetto

Spesso senza un diploma professionale, con nessuna conoscenza del tedesco e a volte analfabeti, gli immigrati italiani degli anni ’60 e ’70 avevano scarse possibilità di avanzamento professionale. Braccia, appunto.

“L’idea di creare una struttura come l’Ecap nasce da lì, dalla volontà di permettere agli italiani e agli immigrati in generale di uscire dal ghetto e di partecipare alla vita sociale e lavorativa della Svizzera, di integrarsi, insomma”, ci spiega la vicedirettrice Giuliana Tedesco.

“L’idea di creare l’Ecap nasce dalla volontà di permettere agli italiani di uscire dal ghetto”

Giuliana Tedesco

I primi corsi vengono organizzati a Basilea e a Zurigo. In mancanza di spazi adeguati, si fa di necessità virtù: “Siamo partiti con delle classi nei garage”, osserva Giuliana Tedesco.

All’inizio, l’Ecap si occupa soprattutto di corsi di formazione professionale. Poi, quasi da subito, si aggiungono corsi di tedesco, di alfabetizzazione, di cucito o per conseguire una licenza di scuola media, rileva Gian Franco Martina nel libro “Solidarietà e formazione – Esperienze dalla storia della fondazione Ecap Svizzera”, pubblicato in occasione del 40esimo anniversario dell’ente.

“L’integrazione linguistica è uno dei presupposti principali per l’avanzamento di carriera, per la ricerca di un impiego”, sottolinea la vicedirettrice dell’Ecap.

Altri sviluppi

Aperta a tutti

Lo sviluppo dell’offerta va di pari passo con un’espansione geografica: corsi vengono organizzati un po’ dappertutto nella Svizzera tedesca e l’ente mette radici anche in Ticino e nella Svizzera francese.

Almeno nei primi anni, finanziare le lezioni non è semplice, malgrado il sostegno dei sindacati italiani e svizzeri. Ci si arrabatta alla meglio, con soluzioni anche ingegnose. Ad esempio, viene creata un’azienda metalmeccanica che lavora in subappalto per le grandi ditte della regione zurighese e che funziona grazie agli operai volontari che venivano la sera dopo aver finito il turno in fabbrica.

Per diverso tempo, il pubblico di riferimento è la comunità italiana, che fino alla a metà degli anni ’70 rappresenta più della metà della popolazione straniera in Svizzera. “All’inizio gli insegnanti erano praticamente solo italiani”, precisa Giuliana Tedesco.

Poi, negli anni ’80, l’immigrazione cambia volto, con l’arrivo soprattutto di portoghesi e cittadini della ex Iugoslavia. Con il cambiamento della composizione dell’immigrazione, l’Ecap si apre man mano a tutti i tipi di pubblico.

“Siamo cresciuti progressivamente, sia a livello di attività, sia a livello di partecipanti; oggi formiamo quasi 50’000 persone ogni anno provenienti da tutti gli orizzonti e organizziamo circa 5’000 corsi per un centinaio di attività formative”, spiega Giuliana Tedesco.

Questa crescita avviene parallelamente alla professionalizzazione delle strutture. Nel 2019, l’Ecap impiegava quasi 1’000 persone, con incarichi variabili da 20 ore l’anno al tempo pieno, si legge nel rapporto d’attivitàCollegamento esterno.

Com’è cambiato in questi 50 anni il pubblico di riferimento dell’Ecap?

Un ente autonomo

Lo stretto rapporto coi sindacati non si è allentato con il tempo. Nel Consiglio di fondazione siedono sei membri della CGIL, quattro del sindacato svizzero Unia e due indipendenti. L’ente rivendica però la sua indipendenza e anche a livello finanziario è completamente autonomo.

“La maggior parte del nostro finanziamento viene dagli appalti pubblici indetti in particolare da Cantoni e comuni”, precisa la vicedirettrice. Oltre ai ‘classici’ corsi per disoccupati, l’Ecap organizza diverse altre attività sovvenzionate dai poteri pubblici, ad esempio delle lezioni di lingua con servizio di asilo nido. “Un’altra fetta del finanziamento proviene dalle quote pagate dai partecipanti e dalla vendita di materiale didattico che noi stesso ideiamo – prosegue Giuliana Tedesco. Ad esempio, proponiamo corsi d’integrazione linguistica per settori lavorativi specifici e sviluppiamo materiale didattico che coniuga teoria e pratica”.

Il filo che lega l’Ecap all’Italia, a parte il rapporto con la CGIL, non si è interrotto in questi anni: Roma partecipa infatti al finanziamento dei corsi di lingua e cultura italiana, della scuola secondaria Enrico Fermi di Zurigo e di quella primaria Sandro Pertini di Basilea, entrambi istituti bilingue e gestiti appunto dall’Ecap.

Valori immutati

Malgrado sia diventato uno degli enti di formazione degli adulti più importanti in Svizzera, l’Ecap non ha perso per strada i valori che ne hanno contraddistinto la nascita e che traggono origine dal lavoro di pedagogisti quali Don Lorenzo Milani, Ettore Gelpi, Danilo Dolci o Paulo Freire. Valori che il fondatore Leonardo Zanier, nel volume di Gian Franco Martina, riassume così: “Non basta fare per gli emigrati. Bisogna fare con gli emigrati, garantendo loro degli spazi di autogestione dei bisogni, di protagonismo, di emancipazione e della crescita e dell’integrazione”.

“L’Ecap vuole essere prima di tutto un luogo di incontro, dove ci sono delle opportunità di scambio, e non semplicemente un posto in cui seguire un corso – sottolinea Giuliana Tedesco. Uno dei nostri valori fondamentali è la solidarietà. E il nostro principale obiettivo è rimasto lo stesso, ossia porre l’individuo al centro del percorso formativo. Partiamo dalle esigenze del lavoratore e della lavoratrice, fedeli a quanto diceva Ettore Gelpi: ‘Non si può parlare di lavoro senza l’operaio, così come non si può parlare di formazione senza la persona a cui questa formazione si indirizza’. Non per nulla il nostro slogan è ‘Formazione e partecipazione’. Vogliamo fare in modo che la persona sia messa in grado di fare delle scelte consapevoli, che non sono solo scelte di studio, ma di vita”.

Corsi organizzati nel 2019: 4’882

Partecipanti: 49’930

Lezioni: 306’013

Collaboratori: 966 con incarichi variabili da 20-40 ore l’anno al tempo pieno; 761 donne e 205 uomini.

Introiti dall’attività didattica: 17,7 milioni di franchi

Contributi stanziati dalle autorità pubbliche: 23,7 milioni

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