«Pietro entrò nella tomba e vide le bende per terra e il sudario che era sul capo di Gesú, non per terra con le bende, ma ripiegato in un luogo a parte». Così il Vangelo di Giovanni racconta come i discepoli scoprirono la resurrezione. Con un’assenza. La tomba è vuota. Il corpo di Cristo è scomparso. Il muto testimone di quanto è accaduto è il telo che avvolse Gesù deposto dalla croce.
Quel telo è al centro di storie e leggende sin agli albori della cristianità. Un sudario compare a Edessa, nell’odierna Turchia, nel VI secolo. Nel X secolo alcune testimonianze lo collocano a Costantinopoli. La certezza storica arriva solo nel 1353. A Lirey in Francia. Una chiesa ospita un lenzuolo di lino con l’immagine di un uomo che riporta i segni dei supplizio di Gesù.
Il telo di Lirey oggi è noto nel mondo come “the Shroud of Turin”, il lenzuolo di Torino, la Sindone. Comprato dai Savoia nel XV secolo e portato nella città piemontese, quel tessuto sarà esposto dal prossimo 19 aprile fino al 24 giugno. La Sindone verrà mostrata al pubblico per l’ostensione più lunga della storia, 67 giorni. Un evento che culminerà con la visita del Papa del 21 giugno.
Fede e scienza si confrontano su quel lino dal 1898, quando il fotografo Secondo Pia scoprì che sul negativo emergeva l’immagine inconfondibile di un uomo. L’enigma è ancora irrisolto per l’uomo di fede e per l’uomo di scienza. Quello che rimane è la testimonianza silenziosa. «Prima che la scienza arrivi a dire un sì o un no definitivo – spiega don Roberto Gottardo, presidente della commissione diocesana per la Sindone -, già da subito chiunque guarda la Sindone può riconoscere in quell’immagine gli stessi elementi che trova raccontati nei Vangeli riguardo alla passione di Gesù. Il rapporto che si instaura tra chi guarda e la figura di Cristo attraverso la Sindone è lecito a prescindere da tutto».
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