La Banca nazionale svizzera (BNS) afferma che non può investire unicamente considerando criteri ambientali, ma il WWF non è d’accordo e chiede di più.
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tvsvizzera.it/mrj
“Il mandato di una banca centrale è quello di essere la garante della stabilità finanziaria e dei prezzi. Siccome il cambiamento climatico e la perdita di biodiversità hanno un’influenza su questa stabilità è nel mandato della BNS di gestire e di ridurre questi rischi”. A dirlo è Ivo Mugglin, esperto di finanza sostenibile del WWF.
Secondo l’organizzazione ambientalista, gli istituti di credito elvetici si stanno, sì, impegnando in questo senso, ma non abbastanza. “Le banche svizzere continuano a investire per esempio nell’estrazione di energie fossili. Questo è catastrofico per il clima ma aumenta pure il rischio di un’instabilità finanziaria”.
BNS e FINMA (l’Autorità federale di vigilanza dei mercati finanziari) dovrebbero analizzare e quantificare i rischi sulla stabilità finanziaria, come già hanno fatto la Banca centrale europea o quella olandese, prosegue Mugglin. Andrebbe inoltre inasprita la lotta contro il greenwashing, ossia l’ecologismo di facciata.
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Che impatto hanno questi investimenti?
LaSvizzera è stata pioniera degli investimenti dettati dalla sostenibilità negli anni ’80 e ’90. Investimenti che negli ultimi anni si sono moltiplicati a dismisura. “Si sta facendo molto, ma ora bisogna capire qual è il reale impatto di tutti questi investimenti”, spiega Alberto Stival, vicedirettore del Centro studi bancari e rappresentante per la Svizzera italiana di Swiss Sustainable Finance.
“Cambiare completamente un sistema economico non è facile”, prosegue Stival. Tutti devono fare qualcosa: la politica, il sistema finanziario, le aziende e i consumatori. Sta proprio a questi ultimi lanciare i giusti segnali affinché gli altri attori si interessino sempre di più a cercare soluzioni sostenibili.
La Swiss Sustainable Finance analizza ogni anno gli investimenti e “oggi il 50% di questi sono detti ‘sostenibili’. Fino a qualche anno fa invece questi prodotti erano ancora di nicchia”.
Cambia il clima, cambia l’economia
InFrancia 150 imprenditori si sono riuniti per ripensare i modelli produttivi delle loro aziende e renderle più sostenibili: il progetto si chiama “Convenzione delle aziende per il clima” (CEC) e i suoi lavori dureranno fino a giugno 2022: l’auspicio degli organizzatori è la messa a punto di soluzioni concrete che daranno avvio a una sorta di effetto valanga sulle aziende e sulla politica.
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Yannick Servant, co-fondatore di CEC spiega che “l’obiettivo della convenzione è uscire da quello che nella teoria dei giochi si chiama dilemma del prigioniero: prevedo che nessuno si muoverà e quindi io non mi muovo. Noi vogliamo invece creare le condizioni per una cooperazione massiccia e per affrontare così davvero il problema una volta per tutte”.
“Quello che proviamo a far fare oggi l’hanno realizzato solo forse una decina di aziende nel mondo”, aggiunge Éric Duverger, altro co-fondatore di CEC. “La maggior parte delle società sono bloccate nel loro schema: provano a migliorare le cose ma solo in modo marginale. Noi proponiamo una reinvenzione all’altezza della posta in gioco, è l’unico modo per dire la verità, perché oggi non siamo proprio sulla traiettoria giusta”. L’innovazione consiste nel ripensare il processo di produzione cercando il minor impatto carbonico possibile.
Per gli organizzatori la CEC sarà riuscita se a giugno sul tavolo ci saranno 150 modelli di trasformazione aziendale capaci di ispirare sempre più aziende e trascinare con sé la politica.
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