Ruag apre un’inchiesta interna dopo le dichiarazioni della CEO
L'invito della CEO di Ruag a Madrid e Berlino a riesportare le armi svizzere in Ucraina, nonostante la legislazione elvetica lo vieti, ha fatto discutere e ora il Consiglio di amministrazione dell'azienda ha fatto sapere che svolgerà verifiche interne per far chiarezza su quanto accaduto.
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tvsvizzera.it/mrj
Alcuni giorni fa Brigitte Beck, la direttrice dell’azienda di armamenti svizzera Ruag, di cui è proprietaria la Confederazione, ha invitato Spagna e Germania a riesportare le armi elvetiche in Ucraina. Un invito a violare le regole che fa discutere e sul quale il CdA dell’azienda ha fatto sapere di voler fare chiarezza.
“Germania, Spagna fornite questo materiale all’Ucraina. E invece chiedono a noi di violare le nostre leggi. Potrebbero farlo… e noi cosa faremmo allora? Probabilmente nulla. Probabilmente non arriveremmo a perseguirli se dovessero consegnare questi sistemi bellici. Non credo proprio ci sarebbero conseguenze. Questo è il mio pensiero”: le parole che fanno discutere risalgono a due settimane fa e sono state pronunciate a una conferenza sulla neutralità e sulla sicurezza.
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La dichiarazione di Beck che non è piaciuta ai presidenti delle commissioni di politica di sicurezza, entrambi esponenti dell’Unione democratica di centro (UDC, destra conservatrice). “Il suo compito è dirigere la Ruag e creare le condizioni quadro ideali per l’azienda. Il suo compito non è immischiarsi in dibattiti politici. In questo senso reputo sia andata troppo in là”, ha detto il consigliere agli Stati bernese Werner Salzmann.
Uscite che anche i parlamentari di altri partiti reputano inopportune. Il consigliere nazionale ticinese liberal-radicale Rocco Cattaneo ha dichiarato: “Sono inopportune. Soprattutto in un momento come questo, in cui ci sono diversi atti parlamentari che trattano il tema della riesportazione di materiale bellico. Penso che sia un compito del Parlamento discutere di questo tema e non della direttrice generale della Ruag”.
Il CdA della Ruagtrarrà le conclusioni per eventuali miglioramenti in seguito alle verifiche interne annunciate. Il Dipartimento della difesa non ha voluto dal canto suo commentare l’accaduto.
…e quando il materiale bellico appartiene al passato che si fa?
In Italia ci sono centinaia di carri armati risalenti agli anni Sessanta in attesa di un acquirente, parcheggiati in una zona paludosa in provincia di Vercelli. Un centinaio di Leopard 1A5 è stato acquistato nel 2016 dalla Ruag che prevedeva di revisionarli ed esportarli in America Latina. I negoziati con il Brasile però sono falliti e i panzer “migliorati” sono rimasti chiusi nei capannoni. Ora il conflitto in Ucraina ha fatto crescere l’interesse nei confronti di questi mezzi blindati (e anche il loro prezzo). La Germania ha chiesto di poterli acquistare per donarli a Kiev, ma la Segreteria di Stato per l’economia (SECO) ha detto di no a metà marzo: “La Svizzera non intende dare armi ai belligeranti”. In seguito è però emersa un’ipotesi alternativa a margine del vertice di Ramstein (l’undicesima riunione del gruppo di contatto per la difesa dell’Ucraina): chiedere alla Confederazione di restituire all’Italia gli 1A5, ceduti come rottami e non mezzi da combattimento. La Svizzera si libererebbe di un problema e l’Ucraina otterrebbe rinforzi. Una soluzione pragmatica sullaquale però – almeno finora – non sono stati fatti progressi.
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