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Quel villaggio svizzero che ridiede speranza nella Milano ferita del Dopoguerra

È tempo di spesa nel 1946 al villaggio svizzero di Milano. Federico Patellani, Museo di fotografia contemporanea di Cinisello Balsamo

Costruito nel 1946, doveva dare un alloggio temporaneo a oltre un centinaio di famiglie sfollate milanesi. Rimase in piedi quasi 15 anni. In un libro degli storici Renata Broggini e Marino Viganò edito dalla casa editrice Hoepli, i ricordi di quella esperienza di solidarietà svizzera.

Questo contenuto è stato pubblicato il 30 ottobre 2022 - 08:30
Michele Novaga

Sul suo sedime al confine tra i Municipi 6 e 7, oggi sorge un parco intitolato ad Alberto Moravia. Ma nel 1946 in quel luogo di Milano, fu eretto il villaggio di solidarietà svizzero: 40 casette di legno che offrirono alloggio per una quindicina di anni a 480 persone di 120 nuclei famigliari. Regalo della Caritas diocesana di Lugano che, attraverso il Dono Svizzero, sostenne un progetto di aiuto per gli sfollati di guerra del capoluogo lombardo.

Le casette sorgevano in un perimetro di 250 metri x 150 e ogni appartamento era composto da due camere da letto, soggiorno, bagno privato e un giardinetto di 100 metri quadrati. Sparite le tracce fisiche, oggi resta la toponomastica con i nomi delle vie -Berna, Basilea, Lucerna e Zurigo – che ricordano il passato e i benefattori d’oltreconfine.

Una storia che riemerge

Il merito di aver tirato fuori dalla memoria della storia questa vicenda è della ricercatrice e insegnante svizzera Renata Broggini che, poco prima della sua scomparsa nel 2018 e insieme allo storico Marino Viganò, mise le basi di questa notevole ricerca storica che poi è continuata insieme a Roberta Ramella e Giorgio Uberti culminando nella pubblicazione del libro Il Villaggio svizzero edito da Hoepli.

Una storia di solidarietà e cooperazione transfrontaliera tra Italia e Svizzera, tra Lugano e Milano che testimonia dei legami che già allora univano i due paesi e soprattutto il Cantone Ticino e la Lombardia. "La costruzione del villaggio svizzero è un segno che rimane sul terreno di una vicinanza non solo occasionale per una città che ha subito un’enorme perdita di vite umane - spiega a tvsvizzera.it Marino Viganò. Si è dato un aiuto seppur piccolo ma concreto in un momento storico cruciale e in una città che aveva una grande carenza di vani abitabili".

Un progetto che sarebbe rimasto in sospeso se non fosse intervenuta la Fondazione la Residenza di Lugano, nata nel 1961 e che gestisce la Residenza elvetica per anziani di Malnate, che ha voluto dare un seguito finanziando la pubblicazione arricchita da documenti dell’Archivio Diocesano di Lugano e dalle straordinarie immagini d’epoca dell’archivio del fotografo milanese Federico Patellani.

Solidarietà svizzera ieri e oggi

La costruzione del villaggio testimonia l’aiuto della Svizzera e si riallaccia al presente e alle iniziative di solidarietà e cooperazione che la Confederazione porta avanti nel mondo. "C’è attinenza con quello che succede oggi. Alcuni paesi sono più portati verso il soccorso e la Svizzera è una di queste. Oggi la Svizzera fa già opera di accoglienza di profughi di un’altra guerra – quella in Ucraina - ospitandoli degnamente in luoghi confortevoli e non sperduti", aggiunge Viganò.

"Il contributo svizzero alla ricostruzione postbellica dell’Europa è stato frutto di una neutralità affiancata dalla tradizione umanitaria e orientata alla pace. Sono concetti profondamente ancorati nel cuore di svizzere e svizzeri, ieri come oggi – sottolinea da parte sua il presidente della Confederazione Ignazio Cassis nella prefazione del libro. Ci portano ad agire con risoluzione, condannando chi viola le leggi internazionali, perché neutralità non significa indifferenza. La difesa dei nostri valori, ancorati nella Costituzione, è fondamentale".

Del villaggio svizzero oggi restano i ricordi dei superstiti

Tanti i ricordi di chi in quella città nella città e in quelle casette, ci abitò. "Io - racconta a tvsvizzera.it Lucia Rizzi, la popolare Tata Lucia pedagogista e protagonista di numerosi programmi alla televisione italiana - ho vissuto lì quasi 12 anni. Mia mamma -vedova con tre bambini - riuscì a farsi assegnare un appartamento nel villaggio svizzero. Era la casa della mia felicità, tutta in legno con la stufa economica: vivevamo praticamente in campagna tra prati e pecore. Ricordo che andavamo con la carriola a prendere la legna nei campi vicini. Al centro del villaggio c’era un negozio dove compravamo il latte che ci veniva versato direttamente nel pentolino. La sicurezza di avere una casa ha fatto si che vivessimo bene e ha influito sulla nostra formazione".

Sulla stessa falsariga anche la testimonianza di Vittorio Grassi: "Ho frequentato il villaggio svizzero per tre estati consecutive, ospite di mia sorella alla quale era stata assegnata una casetta. C’era il campo da calcio, i campi da gioco e noi piccoli avevamo la possibilità di girare in bici attorno a questo perimetro divertendoci pazzamente. Erano abitazioni più che confortevoli con bagno, doccia, giardinetto. Tutti i campi attorno erano seminati a grano papaveri e la sera avevamo la delizia di vedere le lucciole".


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