Quando venne (s)venduta l’Alaska
Era il 30 marzo del 1867 quando l’Impero russo vendette per 7 milioni di dollari l’Alaska agli Stati Uniti d’America.
Solo 5 dollari al chilometro quadrato per un totale di poco più di 7 milioni di dollari (oggi 120 milioni). Un affarone per gli Stati Uniti, che conclusero l’accordo con l’Impero russo per l’acquisto dell’Alaska esattamente 150 anni fa.
A quel tempo la regione era abitata da circa 2’000 cittadini russi, per lo più avventurieri che commerciavano pellicce con gli indigeni.
All’origine dell’offerta c’era la volontà di San Pietroburgo di sbarazzarsi di un territorio che confinava con un vicino alquanto scomodo: l’impero britannico delle colonie canadesi, con la quale i russi erano in guerra. Meglio vendere, insomma, che essere conquistati.
Nonostante l’offerta alquanto vantaggiosa, l’opinione pubblica americana accolse freddamente la notizia dell’acquisto. “Perché”, scriveva ad esempio la stampa, “abbiamo bisogno di questa ghiacciaia e degli eschimesi selvaggi che bevono olio di pesce per colazione?”
Ma questo fu prima che nel vasto territorio venne trovato l’oro, poi il petrolio e il gas naturale.
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