Morti d’amianto, nuova condanna per lo svizzero Schmidheiny
Ennesima puntata della complessa saga giudiziaria che vede al centro lo svizzero Stephan Schmidheiny. La Corte d'Assise di Novara l'ha condannato a 12 anni di carcere. Nella Confederazione l'imprenditore non ha mai dovuto affrontare la giustizia.
Continuano nei tribunali italiani i processi per danni alla salute e all’ambiente provocati dall’amianto. La sostanza, messa al bando in Svizzera nel 1990 ed in Italia nel 1992, veniva prodotta in diversi paesi negli stabilimenti dell’azienda elvetica Eternit AG. Diversi i filoni dell’inchiesta italiana che, in seguito ad una decisione del Tribunale di Torino, nel 2016 è stata divisa in quattro filoni.
Con il nome di “Eternit Bis”, la procedura prosegue in base al luogo di residenza delle persone che hanno intentato causa. Sono dunque Torino per la fabbrica di Cavagnolo; Napoli, per quella di Bagnoli; Reggio Emilia per lo stabilimento di Rubiera e la causa forse più importante è quella di Novara, relativa allo stabilimento di Casale Monferrato.
È proprio nell’ambito di quest’ultima che è arrivata la condanna all’ex imprenditore svizzero Stephan Schmidheiny, imputato di omicidio volontario con dolo eventuale per la morte di 392 persone per esposizione all’amianto (62 lavoratori dell’Eternit e 330 fra familiari ed “esposti ambientali”). L’accusa aveva chiesto l’ergastolo con isolamento diurno, la pena più pesante prevista dall’ordinamento italiano, mentre la difesa aveva insistito per l’assoluzione, in prima battuta per mancanza di prova sul nesso di causalità e in seconda “perché il fatto non costituisce reato”.
Il verdetto, giunto il 7 giugno 2023 dopo 42 udienze e sette ore di camera di consiglio, ha derubricato il reato in omicidio colposo con l’aggravante della colpa cosciente, e condannato Schmidheiny a 12 anni di carcere per la morte di 147 persone.
Ricorso annunciato dai legali di Schmidheiny
Allo svizzero il tribunale ha anche ordinato di versare risarcimenti milionariCollegamento esterno alle vittime, allo Stato italiano, al Comune di Casale Monferrato e ai sindacati. Stephan Schmidheiny, che ha gestito personalmente lo stabilimento di Casale Monferrato dal 1976 al 1986, contesta l’impianto accusatorio, fra le altre ragioni per non avere ricoperto alcun ruolo all’epoca nella filiale italiana della multinazionale svizzera, la Eternit S.p.A. All’agenzia di stampa Keystone-ATS la sua portavoce ha detto che il giudice non avrebbe preso in adeguata considerazione le prove di innocenza di Schmidheiny, ed escluso aspetti che ne avrebbero comportato l’assoluzione a causa della sopravvenuta prescrizione dei reati contestati. I suoi legali hanno annunciato ricorso contro la sentenza, le cui motivazioni saranno pubblicate fra novanta giorni.
Nell’ambito del primo maxiprocesso di Torino, iniziato nel 2009, Stephan Schmidheiny era stato condannato a 16 anni di carcere, che in appello divennero 18. Nel 2014 la Cassazione aveva annullato la sentenza, dichiarando prescritti i reati.
Chiusa nel 1986, la fabbrica di Casale Monferrato, in provincia di Alessandria, è diventata un simbolo della tragedia dell’amianto. 3’000 le vittime secondo l’Afeva, l’Associazione dei familiari e delle vittime dell’amiantoCollegamento esterno che si batte per la bonifica del territorio e per il risarcimento alle vittime e alle loro famiglie. Nella zona ancora oggi, quasi quarant’anni dopo la chiusura dello stabilimento, ex operai, loro familiari ma anche persone che abitavano nei dintorni ricevono una diagnosi di mesotelioma pleurico, un cancro dei polmoni causato dall’esposizione all’amianto. Si stima che tuttora a Casale Monferrato ogni anno ci siano 50 nuove diagnosi e 50 decessi.
Amianto: discussioni politiche, battaglie scientifiche
La protesta di ex operai e loro familiari era cominciata all’inizio degli anni Settanta. Non solo fra i lavoratori della fabbrica. Le fibre di amianto, infatti, rimanevano sulle tute da lavoro e grazie alle sottili polveri provocate dalla lavorazione si diffondevano nell’ambiente.
Nelle cittadine dove c’erano fabbriche Eternit, il materiale veniva inoltre ampiamente impiegato in edilizia pubblica e anche per questo, il filone iniziale dell’inchiesta italiana si era concentrato sulla nozione di disastro ambientale.
I casi svizzeri e la mannaia della prescrizione
Fino all’inizio degli anni Ottanta, ancora si discuteva della possibilità di “lavorare in sicurezza” con la sostanza – anche in Svizzera. Lo stesso sindacato UNIA allora non si era reso conto della gravità della situazione, come ha raccontato al suo periodico AreaCollegamento esterno il sindacalista Vasco Pedrina, in un’intervista che rievoca decenni di tentativi e riflessioni su come affrontare il problema.
Se anche in Svizzera ci sono stati centinaia di decessi collegabili all’amianto, tutte le cause penali si sono concluse nel nulla grazie alla prescrizione, un istituto particolarmente problematico in questo caso, dato che il mesotelioma pleurico è caratterizzato da un lungo tempo di latenza.
Il caso di Hans Moor, montatore di turbine alla Maschinenfabrik Oerlikon, morto nel 2005 a 58 anni per mesotelioma, ha provocato nel 2014 la dura presa di posizione della Corte europea dei diritti umaniCollegamento esterno (Cedu). La Corte ha criticato la Confederazione perché l’istituto della prescrizione come previsto nel codice elvetico, al tempo fissato a dieci anni, violava il diritto di ogni cittadino e cittadina di avanzare pretese davanti ad un tribunale, un principio sancito dalla Convenzione europea dei diritti umani che la Svizzera ha ratificato nel 1974.
Altri sviluppi
Amianto alle Officine, sarà fatta chiarezza
Nel 2019 il Tribunale federale, nell’ambito del caso dell’ex dipendente delle Officine FFS di Bellinzona Ivo Bertini, ha ribadito in una sentenza che il termine non si calcola dal momento in cui una persona scopre di essere malata di mesotelioma, ma dal momento in cui ha subito l’ultima, dimostrabile e continuata esposizione all’amianto. Come nei casi oggetto delle cause Eternit italiane, anche in questo caso l’accusato, le Ferrovie Federali Svizzere, nega ogni responsabilità e disputa il legame causale con l’attività professionale che Bertini svolse per un trentennio da Olten, a Chiasso, a Bellinzona. L’operaio è deceduto nel 2014 e la famiglia ha fatto ricorso alla Corte europea dei diritti umaniCollegamento esterno.
Nel frattempo, nel 2020 in Svizzera il termine assoluto di prescrizione è stato portato da dieci a 20 anni, grazie ad una riforma parlamentare che non ha tuttavia risolto il problema delle malattie da amianto, dato che dall’ultima esposizione ai primi sintomi possono passare anche quattro decenni. La riforma ha escluso la retroattività del nuovo dispositivo, che si applica dunque solo ai nuovi casi.
Risarcimenti. La SUVA e una Fondazione dedicata
In Svizzera, oltre allo sportello amianto gestito dalla SUVACollegamento esterno, l’assicurazione sugli infortuni professionali, dal 2017 è attivo un fondo di risarcimento per le vittime dell’amianto. Gestito dalla Fondazione EFACollegamento esterno, offre consulenza, informazioni e indennizzo a persone – di qualsiasi nazionalità – che siano entrate in contatto con l’amianto in Svizzera dopo il 1996 e si siano poi ammalate. Il risarcimento impegna però le persone che ne beneficino a rinunciare ad azioni giudiziarie.
+ Il fondo per le vittime dell’amianto è operativo
Massimo Aliotta, vicepresidente e consulente legale de l’Associazione svizzera per le vittime dell’amianto e loro familiari (VAO)Collegamento esterno, racconta a tvsvizzera.it che: “Oltre alle procedure ancora pendenti presso la Corte europea dei diritti umani, in Svizzera ogni anno vengono annunciati alla SUVA in media 120 casi – sono persone che ricevono oggi una diagnosi di mesotelioma. Si pensava che il picco si sarebbe raggiunto intorno all’anno 2020 e che da quel momento i casi sarebbero diminuiti. Non è successo, e purtroppo non ci sono segnali in quella direzione”. L’avvocato Aliotta conferma che esaurita la via penale a causa del meccanismo di prescrizione, attualmente ci sono diversi casi pendenti in procedure civili, compresi alcuni inviati dal Tribunale federale alle istanze cantonali.
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