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“Non riesco a respirare” Floyd lo ha detto 20 volte

Parete verde a pannelli con appesi ritratti dipinti a colori di persone perlopiù afroamericane.
Ritratti di persone uccise dalla polizia appesi fuori da un museo a New York [immagine d'archivio]. Keystone / Justin Lane

Ha detto per ben 20 volte di non riuscire a respirare George Floyd, l'afroamericano morto dopo aver perso conoscenza durante l'arresto da parte della polizia di Minneapolis lo scorso 25 maggio. È quanto emerge dalle nuove trascrizioni del video ripreso dalla telecamera indossata da uno degli agenti.

Le trascrizioni sono state presentate al giudice dai legali di uno dei quattro poliziotti implicati nel caso, che chiede di essere scagionato dall’accusa di essere complice dell’omicidio di Floyd.

“Mi ucciderete, non riesco a respirare” [“I cant’ breathe”], ha detto ripetutamente la vittima.

“Se non riesci a respirare allora stai zitto” la risposta dell’agente accusato di omicidio di secondo grado per aver tenuto il ginocchio premuto sul collo di Floyd per otto minuti e 46 secondi, Derek Chauvin. Rischia 12 anni e mezzo di carcere. Per i suoi tre colleghi, l’accusa è di favoreggiamento e omicidio colposo.

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Dopo quel 25 maggio, le proteste contro il razzismo e la brutalità della polizia si sono estese a tutti gli Stati Uniti e al resto del mondo.  

Non mancano le prese di coscienza. Mercoledì, ad esempio, la procuratrice generale di New York Laetitia James ha raccomandato di riformare la polizia newyorchese (NYPD), di sottrarne il controllo al sindaco consegnandolo a una commissione indipendente e di sospendere l’uso di tattiche di controllo aggressive contro la folla.

Lo ha fatto presentando il rapporto stilato su come gli agenti hanno gestito le proteste per George Floyd. “È impossibile negare che molti newyorkesi hanno perso fiducia nelle forze dell’ordine. Ritengo che vada sanato l’innegabile divario fra la polizia e il pubblico”, scrive. “Dobbiamo iniziare il duro lavoro di rivalutare il ruolo della polizia nella società e assicurare che ci siano meccanismo di supervisione pubblica”.

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