“Per vendere petrolio, il Cremlino passa dalla Svizzera”
Il 50-60% del greggio russo verrebbe attualmente commerciato attraverso la Confederazione, denuncia l'ONG Public Eye.
Malgrado la pressione internazionale, i negoziatori domiciliati in Svizzera rimangono i maggiori acquirenti di petrolio russo; e i volumi trattati da alcune aziende sono perfino aumentati dopo l’inizio dell’invasione dell’Ucraina, secondo l’organizzazione non governativa elvetica Public Eye.
L’organizzazione con sede a Losanna e Zurigo stima che il 50-60% del greggio russo sia attualmente commerciato attraverso la Svizzera. Basandosi sui dati degli intermediari dei broker marittimi, l’ex Dichiarazione di Berna (DB) calcola che in febbraio e marzo, i commercianti con sede in Svizzera hanno spedito non meno di 80,5 milioni di barili di petrolio russo dai porti del Mar Nero, dell’Estremo Oriente e del Golfo di Finlandia verso la Turchia, l’India o l’Europa meridionale.
Dallo scoppio del conflitto il 24 febbraio, la Russia, secondo esportatore mondiale di petrolio, è riuscita a riorientare i suoi flussi per superare l’embargo sulle importazioni statunitensi e la reticenza degli europei. Per vendere il suo oro nero, il Cremlino “può sempre contare sulle grandi aziende commerciali con sede in Svizzera, malgrado esse abbiano condannato pubblicamente la guerra di Vladimir Putin contro l’Ucraina e le sue drammatiche conseguenze”, critica la ONG terzomondista in un comunicato odiernoCollegamento esterno.
Pericoloso anche se non illegale
Anche se questo commercio per il momento non è illegale, Public Eye lo ritiene tuttavia “illegittimo” e “pericoloso”, “perché le vendite di petrolio e gas, che hanno permesso la modernizzazione dell’esercito russo, continuano ad alimentare il forziere di guerra di Putin”, scrive la ONG. Si tratta di una manna di 200 miliardi di dollari all’anno. Nel 2021 tali esportazioni costituivano il 36% del bilancio della Russia.
“Estendere le sanzioni”
“Di fronte all’ipocrisia dei commercianti”, Public Eye chiede quindi alle autorità federali di “attivarsi presso l’Unione europea affinché le sanzioni (contro Mosca, ndr) siano estese all’importazione e al commercio del petrolio russo”. L’ex Dichiarazione di Berna ONG auspica anche la creazione di un’autorità di vigilanza specifica in Svizzera per garantire una maggiore trasparenza e diligenza nel settore delle materie prime.
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