“Ancora oggi non posso passare una notte su una nave”
La Costa Concordia piegata su un fianco davanti all'Isola del Giglio è una delle immagini emblematiche di questo inizio secolo. Dieci anni dopo quella notte del 13 gennaio del 2012, il ricordo del naufragio è ancora vivo in coloro che si trovavano a bordo e che riuscirono a mettersi in salvo. Le testimonianze di due svizzeri.
“Ci trovavamo nella nostra cabina quando abbiamo sentito dall’altoparlante una voce che dava l’ordine di evacuazione. In quel momento abbiamo capito che a bordo c’era qualcosa che non andava. Siamo subito scesi al ponte 4 che, in base alle istruzioni sulla sicurezza ricevute appena imbarcati, era il punto di concentrazione in caso di emergenza. Le scialuppe erano sovraffollate ed era difficile salire su una di loro. Alla fine ci siamo riusciti tra spintoni e urla, in mezzo al panico e a persone che cadevano in mare davanti ai nostri occhi. Il buio, poi, complicava la situazione e quando raggiungemmo gli scogli dell’Isola del Giglio non avevamo idea di dove fossimo”.
A parlare così è Daniel Zurfluh, 60enne di Muttenz, nel cantone di Basilea Campagna, uno dei 69 passeggeri elvetici che si trovavano a bordo quella maledetta notte. Partito con la moglie Maya da Savona il 7 gennaio del 2012, era alla sua ultima serata a bordo della Costa Concordia prima dello sbarco previsto per l’indomani sempre nel porto della città ligure. Una settimana di svago e relax nel lusso di una crociera nel Mediterraneo chiamata «Profumo d’agrumi» con soste a Marsiglia, Barcellona, Palma di Maiorca, Cagliari, Palermo, Civitavecchia. Non avrebbero mai immaginato che quel bestione di oltre 100’000 tonnellate alto 14 piani e lungo quasi 300 metri su cui viaggiavano altre 4’200 persone, tra ospiti e personale di bordo, potesse naufragare.
E invece la nave, a 500 metri dall’isola del Giglio, urtò uno scoglio e dallo squarcio di 70 metri che si aprì all’altezza delle cabine del personale e dei locali dei generatori, cominciò a imbarcare acqua e a coricarsi su un fianco.
Anche per Floriane Goël e suo marito Jacques era l’ultima sera a bordo della Costa Concordia. Erano partiti da Savona il 7 gennaio per un viaggio di piacere in un periodo dell’anno in cui sia lei che il marito sono abbastanza tranquilli dal punto di vista lavorativo. Era la loro prima crociera. “Dopo aver assistito ad uno spettacolo di magia, sono rientrata in cabina. Mentre facevo la doccia ho sentito un rumore. Poi il getto dell’acqua ha cominciato a giungere obliquo e le luci ad accendersi e spegnersi a intermittenza. Io e mio marito ci siamo vestiti, ci siamo messi i giubbotti di salvataggio e siamo usciti per andare al punto di concentrazione. Ricordo i corridoi pieni di gente e il panico che avvolgeva tutti noi: io non riuscivo a parlare da quanto ero spaventata, come se fossi in trance. Tutti – continua la 52enne di Carrouge, nel cantone Vaud – volevano uscire da quel luogo e da quel momento. Ricordo che a un certo punto ci hanno fatto andare dall’altra parte della nave, che era già inclinata, dove c’erano le scialuppe”.
“Ricordo i corridoi pieni di gente e il panico che avvolgeva tutti noi: io non riuscivo a parlare da quanto ero spaventata, come se fossi in trance”.
Senza informazioni e in una situazione di panico collettivo, la coppia riuscì a salire su una di queste imbarcazioni e a toccare la terraferma. “Faceva freddo, era umido e buio anche se eravamo vestiti mentre a fianco a noi c’era gente scappata dalle cabine in mutande, in vestaglia e alle quali gli abitanti del Giglio, davvero straordinari, prestavano assistenza fornendogli tutto quello che potevano”.
Un trauma che ogni anno in prossimità della ricorrenza ritorna. “Personalmente non mi sono mai rivolta ad uno psicologo per elaborare quei fatti ma ricordo che, nei giorni seguenti, sono andata nei boschi da sola per cercare di staccarmi dalla realtà. Ancora oggi ho paura a salire su un traghetto o su una nave e non voglio passare la notte a bordo”, aggiunge ancora Floriane.
Per il naufragio, che causò la morte di 32 persone e il ferimento di 157, il comandante della nave, Francesco Schettino, è stato condannato a 16 anni di carcere – verdetto emesso dal Tribunale di Grosseto in primo grado, poi confermato nel processo di appello e in Cassazione- e pene fino a tre anni sono state inflitte ad alcuni dirigenti della Costa Crociere e ufficiali della nave. Nel 2015 la stessa compagnia ha provveduto a un risarcimento collettivo a passeggeri, personale di bordo e parenti delle vittime versando 85 milioni di euro. “Noi abbiamo ricevuto circa 11’000 franchi a testa – aggiunge Daniel Zurfluh felice di essere ancora vivo e vegeto e in grado di raccontare la sua esperienza. La cosa che mi è dispiaciuta di più è che da parte della compagnia non sia mai pervenuta una lettera di scuse”.
Né lui né Floriane Goël però hanno mai pensato di far causa alla compagnia come invece ha fatto Ernesto Carusotti anche lui a bordo della Concordia quel 13 gennaio 2012. Il Tribunale di Genova gli ha riconosciuto, oltre al danno patrimoniale subito, anche il danno da stress post-traumatico costringendo la Costa Crociere a versargli 92’000 euro (spese legali incluse).
“Non ho mai pensato di far causa alla compagnia perché questo rievocherebbe il trauma vissuto. E poi non mi piace l’idea di far soldi su un fatto del genere. Mi basta il mio buonumore”, chiosa Floriane.
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