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Coronavirus, il dramma delle case di riposo

infermiere spinge la carrozzella su cui è seduta un anziana
In Svizzera circa la metà dei decessi causati dal coronavirus sono stati registrati nelle case di riposo. Keystone / Laurent Gillieron

Anche in Ticino il coronavirus ha mietuto numerose vittime nelle case di riposo. Non tutte queste strutture sono però state colpite nello stesso modo e per alcune di esse ci si chiede se non siano stati fatti troppi sbagli.

Casa anziani di Sementina. Qui, dall’inizio di marzo alla metà di aprile, sono morte 29 persone. Ufficialmente, 21 per coronavirus, le altre 8 non è noto. Un numero comunque alto per una struttura che ospitava un’ottantina di persone e che mediamente contava uno, due o massimo tre decessi al mese, stando all’esperienza di chi quella struttura l’ha frequentata per anni.

Le case di riposo sono state il punto debole di questa pandemia, lo si è visto non solo in Ticino, dove quasi la metà dei decessi è avvenuta in queste strutture, ma in tutto il mondo. In alcuni casi, il contagio è stato arginato, in altri, il virus ha colpito duramente.

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Quelli trascorsi all’interno della struttura sono stati giorni difficili. Lo stesso direttore, Silvano Morisoli, parla di lotta senza sosta contro un nemico che probabilmente circolava già all’interno della casa nel momento in cui, il 9 marzo, le porte sono state chiuse ai visitatori esterni.

“C’è stato un momento in cui non c’era più niente da fare perché gli anziani positivi stavano morendo in tanti”, racconta un’infermiera che ancora oggi fa fatica a prendere sonno per quello che ha vissuto.

Giorni difficili, però, lo sono stati anche per i familiari, che – costretti alla lontananza – per avere notizie dei propri cari potevano fare affidamento unicamente sul telefono. Proprio sulla comunicazione, diverse testimonianze raccolte dalla RSI parlano di lacune e mancata trasparenza sul reale stato di salute degli ospiti.

L’approfondimento della trasmissione Il Quotidiano

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Si parla di tamponi effettuati senza comunicazione alle famiglie e di somministrazione di morfina all’oscuro dei congiunti. Ma anche dell’impossibilità di entrare in contatto con il personale di riferimento. A tal riguardo, la direttrice sanitaria, Elena Mosconi, ha tenuto a sottolineare che la priorità era “fare stare bene il paziente” e che “l’informazione ai familiari” arrivava “in un secondo momento”.

Che cosa non abbia funzionato, a Sementina così come altrove, non è ancora chiaro. Sulla vicenda sono state presentate diverse interpellanze e il Ministero pubblico ha aperto un fascicolo, ma al momento non è stata avviata un’inchiesta penale.

Il direttore della casa anziani di Sementina ha assicurato che le norme emanate dal medico cantonale sono state applicate fin da subito in maniera rigorosa. Ma in Ticino c’è anche chi si è mosso in anticipo, introducendo, per esempio, restrizioni agli ingressi fin dal 6 marzo. È il caso degli Istituti sociali comunali di Lugano (LIS), come conferma il direttore sanitario Roberto Di Stefano.

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Ora che le strutture riaprono le porte al mondo esterno, Sementina, come altre case anziani, cerca di guardare avanti, ma con la consapevolezza che la guardia deve rimanere alta e che in vista di una possibile seconda ondata, non si potranno più commettere errori.

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