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Minimum tax, Berna d’accordo ma non nel 2023

I ministro delle finanze Ueli Maurer.
I ministro delle finanze Ueli Maurer. Keystone / Anthony Anex

La Svizzera aderisce alla tassazione minima globale per le multinazionali ma ritiene che i tempi per la sua applicazione siano più lunghi di quelli indicati dall'Ocse. 

È stato definito, non senza una certa enfasi, un accordo storico: 136 Paesi sui 140 aderenti all’Ocse/G20, tra cui la Svizzera, hanno raggiunto un’intesa sulla cosiddetta minimum tax, che impone una tassazione minima del 15% sulle grandi multinazionali, a cominciare dai colossi del web.

Un’intesa resa possibile, dopo anni di intensi negoziati, grazie all’adesione all’ultimo di Irlanda, Estonia e Ungheria, che per lungo tempo si erano opposte al testo concordato.

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Le precisazioni di Berna

Da parte sua il Dipartimento federale delle finanze (Dff)Collegamento esterno precisa però che per la Confederazione non sarà possibile introdurre le nuove regole nel 2023, come previsto dall’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (Ocse).

“Le critiche espresse dalla Svizzera – e da altri Paesi – riguardano il calendario dell’Ocse”, si legge in un comunicato del Dipartimento federale delle finanze (Dff) diffuso venerdì, “calendario che non terrebbe debitamente conto dei processi legislativi nazionali. Il consigliere federale Ueli Maurer l’ha ribadito in occasione del vertice ministeriale dell’Ocse tenutosi il 5 e 6 ottobre 2021 a Parigi”.

UE soddisfatta

A esprimere soddisfazione è soprattutto l’UE che si è battuta per questo obiettivo. Per la presidente della Commissione Von der Leyen, che ha accolto “con favore l’accordo odierno sulla riforma fiscale globale, questo è un momento storico”, si tratta di “un importante passo avanti per rendere più equo il nostro sistema fiscale globale”. “Il multilateralismo è tornato”, ha invece osservato il commissario alle finanze Paolo Gentiloni, alludendo alla partecipazione degli USA.

L’accordo permetterà di garantire l’applicazione di un tasso di imposizione minimo del 15% alle aziende multinazionali a partire dal 2023. Gli unici quattro Paesi che non hanno aderito sono Kenya, Nigeria, Pakistan e Sri Lanka. I restanti 136 che hanno sostenuto l’intesa rappresentano “oltre il 90% del Pil mondiale”, precisa l’Ocse in una nota nella quale ha anche precisato la minimum tax consentirà “di riattribuire a Paesi del mondo intero i benefici per oltre 125 miliardi di dollari realizzati da 100 aziende multinazionali tra le più grandi e più redditizie al mondo”.

Società, ha ricordato sempre l’Ocse, che ora saranno in condizione di “onorare la propria giusta parte fiscale qualunque siano le giurisdizioni in cui esercitano le loro attività e realizzano benefici”

L’intesa politica era stata raggiunta a luglio dai membri del “Quadro inclusivo Ocse/G20”, che ha l’obiettivo di riformare in profondità le regole fiscali del pianeta. Con il via libera di Dublino, Tallinn e Budapest, l’accordo viene ormai sostenuto da tutti i Paesi membri dell’Ocse, dell’Unione europea e del G20.

I prossimi appuntamenti salienti in cui saranno approfondite la questione sono il G20 dei ministri delle Finanze previsto a Washington il 13 ottobre e il vertice del G20 di Roma di fine mese.

I rilievi di Samuele Vorpe (Supsi)

Siamo già alla fine del 2021, fare tutto in un anno è particolarmente difficile, ma non impossibile”, afferma Samuele Vorpe, direttore del Centro tributario della Supsi. Però “prima di tutto bisogna aspettare l’OCSE che ha annunciato una convenzione sulla modalità di calcolo della base imponibile”. Questa dovrà essere comune, perché il trattamento fiscale sia omogeneo e l’accordo non venga aggirato.

“L’OCSE”, dice Vorpe, “si è già detta disposta a vigilare che i suoi Stati membri (…) facciano i compiti in maniera corretta”. “Ci potrebbero essere scappatoie se uno Stato prelevasse il 15% e in un’altra forma restituisse una parte. Qui c’è però il pericolo, in particolare per chi fa parte dell’UE, di ricadere sotto la normativa sugli aiuti di Stato, che riguarda anche la Svizzera in base all’accordo del 1972 sul commercio”.

Fra le conseguenze dirette sulla Svizzera, ci sarà quella sulla concorrenza fiscale fra Cantoni, oggi “molto agguerrita”. “Ci sono cantoni scesi al di sotto anche del 13 o 12% dove dovrà esserci un aumento per queste grandi aziende. Non vale per tutti però, il Ticino per esempio si trova già al di sopra del 15% e non dovrebbe quindi essere toccato dalla misura”, spiega l’esperto.

Non vi è da temere tuttavia una partenza di grandi imprese per altri lidi, proprio perché il 15% varrà anche altrove. E la Svizzera potrà continuare a far valere anche altri fattori che la rendono attrattiva, compresi quelli fiscali: la tassazione dei manager, per esempio, “piuttosto mitigata rispetto ad altri Stati”.


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