Davvero il futuro è nelle criptovalute?
La città di Lugano ha recentemente siglato un accordo di collaborazione con una delle società più note nel mondo delle criptovalute. La località ticinese dovrebbe diventare una delle prime città al mondo a implementare un sistema completo di pagamento in bitcoin e simili. Intervista ad Antonio Mele, professore ordinario di Finanza all'Università della Svizzera italiana.
Già da qualche anno sentiamo un ritornello che, anche guardando alle ultime notizie, sembra essere sempre più presente, ovvero “Il futuro è nelle criptovalute”.
Per esempio, in questi giorni la città di Lugano ha annunciato la collaborazione con Tether, azienda di criptovalute, con l’intenzione di rendere Lugano la “capitale europea delle criptovalute”, permettendo ai cittadini di pagare tasse, imposte, beni e servizi della Città con monete virtuali. Abbiamo quindi colto l’occasione per chiedere ad Antonio Mele, professore ordinario di Finanza presso l’USI, di rispondere ad alcune delle nostre domande su vantaggi e pericoli delle criptovalute.
L’intervista pubblicata sul sito dell’Università della Svizzera italianaCollegamento esterno
Professore Mele, qual è il suo pensiero sulle criptovalute e su ciò che circonda questo mondo?
Non conosco i dettagli di questa collaborazione e preferisco pertanto astenermi da commenti in merito a questa particolare iniziativa. Le criptovalute rappresentano uno strumento di pagamento alternativo alla moneta che noi tutti conosciamo. Non credo tuttavia che si tratti di un esperimento in grado di rivoluzionare le nostre future esistenze.
Lo sviluppo economico e il progresso delle nazioni si snodano attraverso la creatività e l’ingegno umano. Non ho mai sentito parlare di una rivoluzione industriale avvenuta a causa degli strumenti in grado di facilitare le transazioni commerciali. Ciò di cui si ha semplicemente bisogno è un sistema di pagamenti ben collaudato e stabile. Le criptovalute non sembrano possedere tali attributi di affidabilità.
“Non ho mai sentito parlare di una rivoluzione industriale avvenuta a causa degli strumenti in grado di facilitare le transazioni commerciali”.
Cosa non convince delle criptovalute?
L’inerente volatilità. Un mezzo di pagamento deve essere quanto più stabile possibile. Immaginiamo una famiglia che riceva uno o più stipendi in franchi svizzeri ma che abbia allo stesso tempo contratto un debito ipotecario in bitcoin. Le uscite di questa famiglia sarebbero notevolmente influenzate dall’andamento del corso dei bitcoin. Il problema è che questo andamento è notoriamente instabile in parte perché non controllato da un’autorità centrale.
L’importanza della stabilità monetaria è riconosciuta dalla Costituzione della Confederazione Svizzera che, nel suo articolo 99, attribuisce alla Banca Nazionale Svizzera (BNS) il compito di condurre una politica monetaria nell’interesse del Paese. Un’autorità centrale come la BNS contribuisce alla stabilità del franco proprio perché gestisce il processo di creazione monetaria ispirandosi dalle condizioni congiunturali di inflazione o deflazione. Al confronto, le criptovalute rappresentano una “moneta” decentralizzata. Il loro processo di creazione è determinato da un algoritmo e il loro valore è soggetto a violente fluttuazioni dovute a forze di mercato che non possono essere gestite così come la BNS gestisce i meccanismi che assicurano la stabilità del franco.
La stabilità dei mezzi di pagamento ha un’utilità pubblica alla quale è difficile volere rinunciare. Allo stato attuale, non sono ancora convinto dai cosiddetti “stablecoin” (le criptovalute che mirano ad ancorare il proprio valore a un certo quantitativo di moneta fiat come il dollaro americano o il franco svizzero). L’adozione di uno stablecoin come mezzo di pagamento richiederebbe una regolamentazione che per ora è lungi dall’essere stata neanche concepita.
Ci sono degli aspetti, secondo lei, che vanno valutati anche a livello etico?
Alcune criptovalute consentono transazioni a fronte delle quali è difficile rintracciare l’identità dei contraenti. Tali criptovalute favoriscono pertanto transazioni riconducibili a attività criminali e/o il riciclaggio di proventi illeciti e a queste attività riferibili. È una contraddizione incoraggiare l’utilizzo di mezzi di pagamento che facilitano attività considerate illecite dalla nostra stessa costruzione giuridica.
Quali sono le origini di questo modello “insicuro”?
La manipolazione del mercato. Il concetto è molto semplice. Nel mercato delle criptovalute, esistono operatori, talvolta difficilmente identificabili, che comprano o vendono ingenti quantità di valute allo scopo di influenzarne i corsi e ricavare profitti di breve termine del tutto dissociati dall’economia reale. Sono questi frequenti episodi di manipolazione a esporre un potenziale utilizzatore di criptovalute al rischio di enormi perdite. Questo modello è inoltre insicuro perché frequentemente esposto a episodi di bolle o entusiasmo speculativo.
C’è un tentativo di regolamentarne l’utilizzo?
Vedo in modo assolutamente favorevole il progresso derivante dall’adozione della tecnologia blockchain in ambiti finanziari, amministrativi e commerciali. Le stesse banche centrali potranno prima o poi emettere moneta digitale. Le mie perplessità riguardano l’adozione di criptovalute decentralizzate come mezzo di pagamento.
Abbiamo assistito a iniziative di finanziamento di piccole società attraverso l’emissione di “token” digitali. Se regolamentato, questo mercato avrebbe potuto consentire a piccole imprese di accedere a canali di finanziamento innovativi. La regolamentazione è un punto di riferimento imprescindibile perché consente agli investitori di operare con informazioni quanto più accurate possibili. I mercati dei token digitali continueranno a richiedere un’attenzione regolamentale almeno tanto importante quanto quella adottata nell’ambito dei mercati finanziari.
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